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La Firenze ormai quasi scomparsa che frequentava i teatri della commedia in vernacolo potrà rintracciare le storie, i luoghi e gli autori che per tutto il ’900 l’hanno fatta divertire ed emozionare.

Firenze, 12.03.08 - La Firenze ormai quasi scomparsa che frequentava i teatri della commedia in vernacolo potrà rintracciare le storie, i luoghi e gli autori che per tutto il ’900 l’hanno fatta divertire ed emozionare. Ciò grazie al recente volume La commedia fiorentina in vernacolo. I teatri e i principali autori dalle origini ad oggi (Sarnus, pp. 208, euro 14) di Alessandro Bencistà, presidente del Centro studi Tradizioni Popolari Toscane, direttore di «Toscana Folk», autore di numerosi libri tra cui I bernescanti, Fiorentinacci, Vocabolario del vernacolo fiorentino, Il maiale dall’arista allo zampone. Il libro ci tramanda per la prima volta in modo completo un genere e una tradizione – ma si potrebbe dire un mondo oggi rimpianto – che faceva riempire i teatri popolari e dalle cui radici traggono linfa gli esponenti odierni della comicità toscana, da Leonardo Pieraccioni in poi. Bencistà ci conduce attraverso figure storiche che furono pietre miliari della commedia vernacolare: oltre ad Augusto Novelli, il più celebre di una nutrita schiera di drammaturghi, anche autori da riscoprire come Nando Vitali, Giulio Svetoni, Ugo Palmerini, Giuseppina Viti Pierazzuoli, Virgilio Faini. Lo stesso autore ci ricorda, in una rassegna fedele di luoghi quasi dimenticati, gli spazi storici del teatro popolare: il Teatro Niccolini (già del Cocomero), il Teatro Alfieri, il Teatro Nazionale, il Teatro Salvini (già delle Logge), il Teatro Nuovo (già della Pallacorda). Qui, in questi spazi gremiti da un pubblico semplice e interessato, i piccoli drammi domestici delle famiglie di bottegai e artigiani diventavano storie di vita vissuta narrate da opere e recitazioni imperdibili che spesso superarono i confini cittadini per imporsi all’attenzione nazionale. Sono le vicende di un ceto modesto ed affamato di vita (ma non solo) che tarderà ad affermarsi e che manterrà memoria di sé anche attraverso queste opere teatrali. Il libro nasce anche dalla volontà di onorare una lingua antica e illustre cioè il Volgare trecentesco di cui si trovano ancora tracce nelle parlate del contado. È un formidabile stimolo a mantenere viva una tradizione che si sta perdendo ma che converrà ostinarsi a frequentare per non smarrire poi un pezzo di noi stessi.
Data recensione: 12/03/2008
Testata Giornalistica: Nove da Firenze
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