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Questo celebra i dieci anni dalla scomparsa di Florio Londi; si tratta di un’antologia di liriche ancora inedite e scritte nei primi anni Cinquanta; due quaderni scolastici a copertina nera dove le poesie, quasi tutte con titolo

Questo celebra i dieci anni dalla scomparsa di Florio Londi; si tratta di un’antologia di liriche ancora inedite e scritte nei primi anni Cinquanta; due quaderni scolastici a copertina nera dove le poesie, quasi tutte con titolo, sono ordinate secondo il metro, la maggior parte sonetti, ma anche quartine, ottave, endecasillabi sciolti. La stesura delle liriche è quella definitiva e lascia trasparire un assiduo lavoro di lima prima della trascrizione da fogli occasionali, come era abitudine di Florio che anche la notte teneva sempre carta e penna a portata di mano, come ci riferisce la moglie Alighiera. L’habitat in cui si muove Florio Londi, fin dalle prime prove poetiche, ci riporta indietro nel tempo: romanticismo e tardo romanticismo, arcadia, classicismo… senza trascurare la lettura dei contemporanei: c’è addirittura Papini; non è sorprendente? un poeta contadino che scrive una poesia su Papini. E c’è La capra, non quella più famosa e tragica di Saba, una capra più familiare, più capra e meno ebreo perseguitato, che non conosce il dolore impietrito delle terre irredente ma i campi coltivati delle festanti colline toscane. E c’è soprattutto la natura con la sua devastante bellezza che ci sovrasta e insieme la frequentazione partecipata di quell’ambiente umano, povero di mezzi e di aspirazioni, ma ricco di sentimento e di senso pratico della vita, quel mondo popolare e contadino colto in tutte le sue manifestazioni più quotidiane, umili e spontanee: il lavoro, la miseria, l’amore, la morte; soprattutto quel senso di provvisorietà e di effimera presenza su questa terra madre, che ci aspetta paziente nel cimitero, anzi nel camposanto, una presenza che affiora quasi assillante nei versi dell’allora ancor giovane Florio. Non ci sono date, tranne che in un sonetto del primo quaderno, Rimini, settembre 1953 e una data, 1956, in calce ad una lirica in quartine; nel secondo soltanto un’indicazione nelle quartine dedicate alla sua maestra: vent’anni son passati. Florio, nato nel 1926, frequenta le prime tre classi elementari dal 1932 al 1935, il che ci rimanda approssimativamente al 1953- ’55; l’ordine di trascrizione cronologico risulta quindi abbastanza credibile. Il titolo, La vergine rima, è tratto da una delle ultime liriche del primo quaderno. L’aspetto che più ci colpisce e che consideriamo veramente il più originale di questa breve antologia è la lingua, quella lingua rusticale parlata che il poeta maneggia con rara maestria, che è la stessa della scritta, senza nessuna attenzione alla grammatica e alla sintassi, che non esiste nel linguaggio quotidiano e che abbiamo riprodotto fedelmente. In appendice brani di una serata estemporanea mai pubblicata fra cui un contrasto improvvisato con Roberto Benigni che un appassionato cultore dell’ottava rima aveva registrato in quella sera del 1983 e che ci ha concesso per la pubblicazione. Siamo sicuri che anche al grande attore farà piacere commemorare così Florio, che ogni tanto accennando alle sue origini artistiche ricorda come un suo antico “maestro”.  
Data recensione: 13/03/2008
Testata Giornalistica: Toscana Folk
Autore: ––