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I Calderai è giusto il cognome di una famiglia di seri, onesti, raffinati fiorentini. Ma per quasi due secoli la parola “Calderai” ha suonato come qualcosa in più come l’evocazione di un gusto, di una sicurezza, e anche

Manuela Plastina racconta la storica gastronomia in un viaggio a ritroso nel tempoI Calderai è giusto il cognome di una famiglia di seri, onesti, raffinati fiorentini. Ma per quasi due secoli la parola “Calderai” ha suonato come qualcosa in più come l’evocazione di un gusto, di una sicurezza, e anche di un deciso profumo di cose buone, di felice tavola apparecchiata. Autentica Firenze.I negozi Calderai, che oggi non ci sono più, erano veri templi del nutrimento squisito, sano, molto diversi dagli spacci di snobberie internazionali presenti nelle capitali del del mondo: chi ha il privilegio di ricordare quei pasticci di maccheroni e pastafrolla, quei patè, quei dosati profumi di tartufo o funghi e poi tutti i salumi, i ciccioli, i formaggi le scelte di pane e di spaghetti, vive qualche attimo di gioia, come al ricordo di un abbraccio dell’infanzia. E oggi, quando si sfoglia il libro scritto da Manuela Plastina, titolo appunto I Calderai, officina del gusto a Firenze, edizioni Polistampa, collana «Writers for you», l’immagine di una gloria fiorentina prende concreta dimensione. E, ammettiamolo, si colora di rimpianto per quel centro, quelle strade di botteghe sicure, spazzate via dalla moda, dagli affari internazionali.Una Firenze, se vogliamo, fatta anche di capelli di paglia del Porcellino, di croissant di Balboni, ma pure di lupini salati, di contadini col raveggiolo e di corredi ricamati, di modiste e gioielleri cesellatori. Del the da Doney.La data ufficiale della nascita della ditta dei Calderai è legata all’immagine di una «Esposizione italiana del 1861» nella quale apparve un Calderai Angiolo, per saggi salati di qualità elevata, come testimonia il giornale illustrato d’epoca, nel quale sono raffigurate dame, cavalieri, giardini e pregiati allevamenti toscani. In realtà si è appurato come già al tempo del granduca Leopoldo di Lorena, in canto del Diavolino, ci fosse una bottega Calderai dove, oltre ai cibi si vendevano cibi pregiati.Ma è con l’Unità d’Italia, negli anni in cui Firenze prende lo slancio di un salotto di menti e costumi raffinati che il negozio Calderai in via Ginori prende la dignità di un monumento cittadino, frequentato da artisti, letterati, politicigradevolmente mischiati alle madri di famiglia, ai maggiordomi della mense più ambite. Delle buone cose dei Calderai diventano ghiotti i fiorentini di classe ma soprattutto gli stranieri di qualità. Gli snob, i cosidetti anglobeceri, così come gli artisti francesi e svizzeri, alimentano la fama del mago del buon mangiare, e la regina Vittoria, che risiede a lungo a Firenze, fa mandare da Buckingam Palace, nel 1894, un diploma di «Fornitore ufficiale della real casa», che campeggierà a lungo nelle vetrine colme di ghiottonerie.Il libro sarà presentato oggi (ore 17) a Palazzo Panciatichi in presenza dell’autrice e di Carlo Calderai. Intervengono: Cristina Acidini, Mauro Pagliai, Alirio Gramigni e Franco Torrini.
Data recensione: 09/05/2008
Testata Giornalistica: Il Corriere fiorentino
Autore: Wanda Lattes Nirenstein