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Nell’Ottocento divenne un caso letterario particolarissimo. Niccolò Tommaseo ne rimase colpito e la fece conoscere nel mondo della grande scrittura. Sto parlando di

Nell’Ottocento divenne un caso letterario particolarissimo. Niccolò Tommaseo ne rimase colpito e la fece conoscere nel mondo della grande scrittura. Sto parlando di Beatrice Bugelli, la pastora di Pian degli Ontani che, analfabeta, improvvisava versi in ottima rima, deliziosi. Parlare di Beatrice, per esempio, a Cutigliano dove le è stato dedicato un parco e dove, in piccole lapidi sparse qua e là, sono incisi i suoi versi, è come parlare di uno di casa. Beatrice nacque a Conio, frazione del Melo, a pochi chilometri da Cutigliano appunto, nel 1803. Incarnava i valori più puri e genuini della cultura popolare. Il Tommaseo, dicevo, che andava cercando la purezza della lingua italiana tra i pastori e i boscaioli di quelle zone, scrisse, tra l’altro, di lei: “Feci venire di Pian degli Ontani una Beatrice, moglie di un pastore, donna di circa trent’anni che non sa leggere e che improvvisa ottave con facilità, senza sgarrar verso quasi mai”. E su Beatrice Paolo Ciampi, giornalista, ha fatto uscire un libro che ha per titolo “Beatrice. Il canto dell’Appennino che conquistò la capitale” per la collana “La Toscana racconta” di Sarnus-Polistampa (pagine 136, euro 10). Niente scuola “ma ho ben studiato quell’altro libro immenso che è la natura” fa dire alla pastora-poetessa l’autore, voce narrante di questo libro dedicato alla bellezza: “Se voi volete intender la mia scuola: / su questi poggi all’acqua e alla gragnola. / Volete intender voi il mio imparare? / Andar per legna o starmene a zappare”. La sua storia straordinaria comincia il giorno del suo matrimonio quando, levatasi in piedi, fece dono a tutti della sua prima poesia improvvisata. Paolo Ciampi mette in bocca a Beatrice che, sul letto di morte racconta la sua vita, frasi che era solita dire, che tutti sanno a memoria, annotate di soppiatto, trasmesse di padre in figlio e alle quali la sua validità di scrittore e amante del bello ha dato forma e spessore. Come quando Beatrice racconta di una sua grande amica “era poco più di una bimba Francesca, quando l’ho conosciuta, bella come non ne fanno più le mamme, fatta di sole e incarnata di latte”. Meravigliata di tanti riconoscimenti per le sue rime estemporanee, si schermiva: “Le mie son parole che volano in cielo, che si mescolano all’aria dei boschi di abete e di castagni. Parole che si struggono come neve al sole”. E anche questa, anche se rivisitata, come si suol dire, dall’autore, anche questa è poesia. Sì, “la poetessa che bada alle pecore” come – ancora il Tommaseo – la definì nella “Nuova Antologia”, si stupisce ogni volta dell’attenzione dei letterati per ciò che le usciva dal cuore. Una vita travagliata, così dura che sembra una novella, di quelle paurose per far star cheti e raggomitolati nel letto i bambini irrequieti. Per lei, nel centenario della sua nascita (1902) il comune di Cutigliano organizzò solenni onoranze. Alla cerimonia – come annota il Marzocco – “assisté un numeroso pubblico del quale faceva parte la nutrita e alta schiera dei villeggianti”. E Giuseppe Lipparini, in quella occasione, scomodò perfino Esiodo per la pastorella. Un libro poetico e dolce quello di Paolo Ciampi; e come è stato detto “intenso come una preghiera dedicata alla bellezza”. E all’amore, specialmente per la montagna, di cui questo libro è un inno. E dopo averlo letto si scopre che è un inno alla vita tutta. 
Data recensione: 30/11/2008
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Cambi Mariella