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Ecco un inedito tratto da “Gente d’amore e di mistero” (Sarnus, pp.120, euro 10), in cui Cardellicchio dà voce alla leggenda del ritorno della Lince in Garfagnana

Ecco un inedito tratto da “Gente d’amore e di mistero” (Sarnus, pp.120, euro 10), in cui Cardellicchio dà voce alla leggenda del ritorno della Lince in Garfagnana. Entra aprendo, senza garbo, la porta. Sessant’anni, a sprofondare, numerosi di fatica. Si guarda attorno. Saluta un boscaiolo coetaneo.  Ordina una grappa e va a mettersi a un tavolino non lontano dalla porta. Dà l’impressione di voler tenere d’occhio il cielo. Nella bottega - l’unica del paese, un pugno di case verso il Passo delle Radici - ci sono vecchi e giovani del posto, e vacanzieri. Chi gioca a carte, chi fuma il sigaro, davanti a un quartino di rosso, e chi parla piano per non disturbare gli altri. L’ultimo entrato scuote la testa. Se ne accorge il padrone della bottega, portandogli la grappa. “Che c’è che non va, Giovanni?”. Giovanni scuote nuovamente la testa. Vede gente che non conosce e fa spallucce. “Puoi parlare, sono amici”, lo rassicura il bottegaio. Giovanni beve la grappa d’un fiato e si rilassa, le spalle alla parete annerita dal fumo di chissà quante veglie. Dice: “Ho visto qualcosa che non mi convince”. E non va oltre. Silenzio. E tutti sono lì, ora, ad aspettare che continui. Non c’è la certezza che lo faccia. E’ uno spigoloso. Uno abituato a vivere solo. Conosce la montagna come le sue tasche. Conosce il movimento delle nuvole, il vento, le stelle, la luna. Può dire che tempo farà domani. Conosce la flora e la fauna della montagna. Ma non ha dimestichezza con le parole. Accende un “toscano”. “Vuoi tenerlo per te? - gli fa il bottegaio - Perché, allora, hai parlato?”. “No. E’ che non so... Non vorrei...”. “Ci tieni sulle spine”, dice un giovane calando una carta sul piano di marmo del tavolino. “Sulle spine? - Giovanni sembra dispiaciuto - No... No... Ho visto due agnelli e una pecora ammazzati e mangiati”. “Che c’è di strano? Si sa che il lupo è tornato. Oppure possono essere stati i randagi inselvatichiti. Ne ho visti, di cani randagi, in giro”, fa uno. Giovanni scuote ancora la testa: “Mi sembra di no. Il lupo, i randagi non sono così feroci. Quelle tre bestie sono capitate tra le grinfie di una furia. Ecco, un furia”. Giovanni si concentra sul sigaro. Dal fondo della stanza viene su una voce catarrosa sotto un berretto da carbonaio: “Lui pensa alla lince. Sono anni che la cerca. Non è vero, Giovanni? Non vuole rendersi conto che non c’è più, se mai c’è stata”. Giovanni tace. Se fosse vero, si sarebbe di fronte a un fatto eccezionale. Di lince, negli Appennini, non si parla dall’inizio del secolo. In Toscana, poi... Dovrebbe essere la Lynx Lynx (lince comune o europea). Ma qualcuno parla anche di lince pardina, macchiata, più piccola delle altre, caratteristica della Spagna. Due delle quattro specie segnalate nel mondo. Ci sono anche la lince canadese e il bobcat. E un numero incredibile di sottospecie. “E se avessi visto tracce in un bosco?”, dice Giovanni senza togliersi il sigaro di bocca. Sicché non tutti capiscono. Un ragazzo, che gli è accanto, ride: “Scommetto che hai sentito anche il lamento che fa nella stagione dell’amore”. “Giovanni va dietro alle leggende. E ce ne sono su queste montagne”, dice il bottegaio come per scusarlo. “Se si vuole essere giusti, bisogna dire che un tempo la lince viveva anche nei monti lì davanti, nelle Apuane, aspre, adatte a lei. Ma era il tempo dell’orso, quando c’era anche l’orso”. Nella bottega si parla a ruota libera, ora.  Giovanni tace. E’ il carbonaio a tener banco. Dice che in passato si sono pagati fior di quattrini ai cacciatori per abbattere la lince, che si riteneva pericolosa, che faceva paura: nociva più degli altri nocivi. Lui sa da parenti che abitano in Val di Susa (Piemonte) di abbattimenti giornalieri, effettuati soprattutto nel secolo scorso con fucili caricati con pallini da lupo, e la tradizionale amputazione della zampa destra del felino ucciso, macabro trofeo da far vedere a tutti, compresi figli e nipoti.  Lui sa che la lince ama stare lontana dalla civiltà, le sue prede sono cinghiali, camosci, lepri, caprioli, marmotte, ma anche topi, rettili, pernici, fagiani di monte. Carnivora, non disdegna le bacche. A differenza del lupo, mangia poco. Conclude, scettico, il carbonaio: “Mi pare strano che si sia buttata su due agnelli e una pecora, come dice Giovanni”. Il bottegaio interviene nelle vesti del saggio: “Per fare le cose giuste, bisognerebbe che venissero qui gli esperti. Le prove scientifiche chetano tutti. Si sa”. Giovanni, a questo punto, paga la grappa ed esce senza salutare. Il carbonaio ride, divertito.
Data recensione: 13/05/2008
Testata Giornalistica: Il Tirreno
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