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Sarà per il fatto che nel suo nome ritrovavo il mio, sarà per la circostanza autobiografica che anch’io, grazie alle mille monellerie, sono stato cacciato dal collegio, dovendovi poi tornare per sette anni scolastici, fatto sta

Sarà per il fatto che nel suo nome ritrovavo il mio, sarà per la circostanza autobiografica che anch’io, grazie alle mille monellerie, sono stato cacciato dal collegio, dovendovi poi tornare per sette anni scolastici, fatto sta comunque che ho sempre nutrito una gran simpatia per quell’esilarante opera che è Il giornalino di Gian Burrasca. Un’opera che non ha comunque mai abbandonato la cresta dell’onda, fin dalla sua prima uscita sul Giornalino della Domenica a febbraio 1907 e in volume dal 1912. Una popolarità, la sua, di cui fanno fede una pregevole trasposizione cinematografica, di (e con) Sergio Tofano, la celebre edizione televisiva interpretata da Rita Pavone (oggi disponibile in DVD) o lo strepitoso fumetto disegnato da Gianni De Luca, riproposto recentemente in volume a BD edizioni. Veniamo dunque a questa nuova edizione di Sarnus, che si fa apprezzare per più ragioni: la scorrevole pulizia grafica dell’impaginato, l’eleganza del font usato, il bel color avorio della carta, la bella rilegatura. Ma a dargli vitalità nuova son le illustrazioni che sostituiscono quelle  –pure gradevoli, originali e classiche – di Vamba con quelle nuove di Giuliano Cenci. Vale a dire uno dei “mostri sacri” del nostro cartone animato, autore, – qui – di una gradevolissima serie di immagini eseguite a lapis: una convincente modernizzazione dell’apparato illustrativo della tradizione. A conferire un particolare pregio a questa edizione è il saggio/postfazione di Piero Pacini (opportuna riproposta di un suo scritto uscito nel 2006 in Antologia Vieusseux) che ha un duplice interesse. Da una parte egli chiarisce attraverso una circostanziata analisi il senso di quelle accuse di plagio – ora larvate, ora virulente, rinfocolate anche in tempi recenti – rivolte a Vamba per questa sua opera. Pacini evidenzia come Gian Burrasca si inserisca in un ampio filone della letteratura per ragazzi, originario della seconda metà dell’Ottocento negli Stati Uniti e incentrato sui «bad boys», in parole povere sui monellacci. Ma ciò che particolarmente ci intriga, in QUESTA sede, è che Pacini intuisce un interessante collegamento tra questo filone letterario – dal quale Vamba ha senz’altro ripreso alcuni elementi e spunti di trama – e tutti quei personaggi-bambini-monelli che, in qualche modo furono un po’ la piattaforma su cui crebbe il fimetto: da Yollow Kid a Buster Brown agli inafferrabili Bibì e Bibò (Katzenjammer Kids ovviamente), tutti a loro volta discendenti da Max & Moritz e dai Gemelli di Corinto dell’antesignano Wilhelm Busch e al tempo stesso antenati di quella sterminata schiera di bambini fumettistici che, attraverso evoluzioni e derive, ha portato a Charlie Brown e a Calvin Hobbes. Con ciò “il cerchio si chiude” ed è una chiusura interessante, per quanto essa rintraccia, a proposito di affinità e parentele, fra un “immortale” della letteratura per ragazzi e certi classici della nostra amata “nona arte”. A quanto pare, certi conti tornano sempre. E dobbiamo essere grati a questa edizione del Gian Burrasca di costituire una specie di “certificazione” dell’idea.
Data recensione: 01/09/2009
Testata Giornalistica: Fumetto
Autore: Gianni Brunoro