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Titolo perfetto per l’ultimo volume della trilogia di Carlo Lapucci sulle fiabe della tradizione popolare, Il libro delle paure - racconti popolari di diavoli, fate e fantasmi (Sarnus editore, 287 pagine, 15 €). Dentro, vi aspetta un coacervo di figure fa

Nel volume che chiude la sua trilogia sul fiabesco Carlo Lapucci esplora il lato terrificante dei racconti popolari Titolo perfetto per l’ultimo volume della trilogia di Carlo Lapucci sulle fiabe della tradizione popolare, Il libro delle paure - racconti popolari di diavoli, fate e fantasmi (Sarnus editore, 287 pagine, 15 €). Dentro, vi aspetta un coacervo di figure fantastiche che da secoli, forse da millenni, irrompono con le loro storie nel nostro mondo per perturbarlo, agitarlo, ricordare ai suoi abitanti l’esistenza di un’ingovernabile, inconoscibile sfera dell’ignoto. Sono appunto le paure, come un tempo erano chiamate questi racconti e credenze, incentrati su presenze misteriose, fantasmi, spettri, anime vaganti che si aggirano nottetempo in luoghi solitari. Erano, mischiate con le chiacchiere serie di fatti e persone, l’argomento prediletto delle veglie degli adulti, incontri che avvenivano a tarda sera, quando i bambini andavano a letto, e il fiasco girava fra i partecipanti riuniti intorno al focolare nelle fredde notti d’autunno e inverno. Il racconto che abbiamo scelto di presentare s’intitola Il giocatori di dadi che a nostro avviso costituisce un esempio perfetto di questo affascinante genere fiabesco. Anche lo smaliziato lettore moderno, ne siamo certi, non rimarrà immune da qualche brivido.       Fermatosi durante una notte piovosa in un’osteria, un barrocciaio si mise a giocare a dadi e si trovò ben presto senza neppure uno spicciolo in tasca. Si mise allora a urlare tali bestemmie che perfino i compagni di gioco si fecero più volte il segno della Croce. Volendosi rifare della perdita e accecato dalla rabbia, invitò i presenti ad accettare come posta uno dei barili di vino che aveva sul barroccio in sosta sotto la tettoia della stalla. Non si trattava più d’un gioco e nessuno volle accettare. Allora, più infuriato che mai, prese a dire: – Metto due barili contro un solo scudo… La gente, sapendo che non si trattava di roba sua, scoteva la testa. – Metto tre… quattro… cinque barili per uno scudo… La cosa prometteva di finire male e molti avventori presero a sfollare facendo finta di non sentirlo e in breve intorno a lui si fece vuoto. Continuando con quelle offerte anche altri si alzarono e infilarono la porta dicendo: – Andiamo, è già tardi… Il carrettiere era rimasto solo a imprecare al suo tavolo quando entrò un tale che nessuno aveva mai visto prima: era vestito di panno grosso, aveva uno sguardo maligno e scarponi chiodati come hanno quelli che scendono dalla montagna. Dopo aver chiesto da bere, sentendo il carrettiere che continuava a proporre di giocare uno scudo contro quella grazia di Dio, disse: – Ma che diamine, compare, lo metto io uno scudo, contro cinque barili… Prendete i dadi e sedete. Il carrettiere vinse e vinse ancora parecchie volte sfilando al compare un bel gruzzolo dalle tasche che pareva non avessero fondo. Quando però imbaldanzito volle alzare la posta, cominciò a perdere e in poco tempo ci rimise tutto quello che aveva vinto col carico di vino, il barroccio e il cavallo. Smarrita la ragione, battendo il pugno sul tavolo disse allora al compagno: – Voglio giocare quello che mi resta: la moglie. – Attento amico. Queste sono cose delle quali poi ci si pente! – Ve lo metterò per scritto. – Mi va bene e vada per la moglie –, rispose lo sconosciuto, poi, rimasto un po’ pensoso, domandò: – Che valore vogliamo darle, dato che io non m’intendo molto di certe cose? – Tutto quello che mi avete vinto. – Mi sembra un po’ troppo, ma voglio darvi questa possibilità –, confermò quello facendo mulinare i dadi nel bussolotto. Il carrettiere perse ancora e, recuperato un barlume di ragione, scoppiò in un pianto dirotto mettendosi le mani nei capelli. I pochi presenti lo guardavano sbigottiti, mentre il compagno gli diceva: – Su, su… comportatevi da uomo: non vorrete certamente rimangiarvi il vostro impegno: vi pare il caso di finire questa questione con il coltello? Allora il disperato pregò e scongiurò tanto che, per non assistere a quella triste scena tutti abbandonarono la stanza. Rimasti soli, lo sconosciuto lo guardò con occhi terribili e disse: –Mi porterete la donna questa notte, sulla spiaggia, davanti allo scoglio. Se non sarete là, verrò io a trovarvi… Il carrettiere, tornato a casa senza cavallo né barroccio, s’accorse troppo tardi quanto fosse maledetto il gioco. Rimase chiuso nella stalla vuota lamentandosi con la testa tra le mani finché il sole cominciò a scendere sull’orizzonte. Allora chiamò la moglie e le ordinò di prepararsi per un lungo cammino che sarebbe durato forse tutta la notte. La donna, che si chiamava Maria, già si era accorta che qualcosa non andava, ma non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla al marito che era iracondo e violento. Obbediente si mise le scarpe grosse, si tirò lo scialle sulla testa e seguì silenziosa l’uomo che prese la strada verso il mare. Era già notte quando nel cammino passarono davanti a una piccola cappella votiva dentro la quale ardeva un lumino davanti alla statua della Vergine. Maria era solita fermarsi a pregare ai tabernacoli davanti alle immagini di colei della quale portava il nome, e anche quella volta entrò nell’edicola, s’inginocchiò raccomandando alla Madonna la sua vita e quella del marito che aveva continuato il cammino senza accorgersi di quella sosta. A un tratto il muro del tabernacolo s’aprì come una tenda; una luce abbagliante riempì la notte e un fiume turbinoso di fuoco rotolò dal cielo. In mezzo a un volo d’angeli la statua della Vergine si animò, scese dal piedistallo e, lasciato il Bambino alle due Sante che pregavano ai suoi piedi, disse alla donna inginocchiata: – Tu resta qui a pregare, che io vado a fare questo viaggio per te. Le prese lo scialle e, postoselo sulla testa, se lo fece scendere sul volto, quindi uscì raggiungendo l’uomo che camminava avanti, torvo e silenzioso. Arrivarono alla spiaggia davanti allo scoglio: era già notte fonda e non c’era la luna. Dovettero attendere poco: un cavaliere spuntò lontano sull’orizzonte e avanzò galoppando sulle onde del mare. Il cavallo alzava con gli zoccoli spruzzi altissimi come se guadasse un fiume, finché giunse sulla riva mandando un terribile nitrito. Con un balzo il cavaliere scese: aveva occhi terribili, rossi come la brace; un viso orripilante e, al posto dei piedi, zoccoli d’asino. – Ci sei? domandò al giocatore. F i n a l m e n t e uno che non mi fa aspettare… Hai capito chi sono? – Il Demonio, urlò il poveretto, tu sei il Demonio… – Vieni donna… Tuo marito ti ha perso al gioco e ormai mi appartieni… – Eccomi –, disse la Vergine scoprendosi il volto. Come la vide il Diavolo, contorcendosi in terribili spasimi, urlò: – Ah, non erano questi i patti… non è questa la donna che mi dovevi portare, stupido impostore… Ma ci rivedremo la prima volta che riprenderai in mano i dadi. Improvvisamente si fece tutto di fuoco come se fosse di brace rovente e saltò sopra il cavallo che era diventato di fiamma. Con un balzo saltò tra le onde che mandarono spruzzi altissimi con fumo e faville e s’allontanò bucando l’orizzonte buio come una saetta. La Vergine era scomparsa e l’uomo terrorizzato fuggì rifacendo in un baleno la strada. Nell’edicola trovò la donna in preghiera davanti alla statua della Madonna, nella nicchia rischiarata da un lumino.  
Data recensione: 06/10/2009
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Jacopo Nesti