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Passeggiare per le vie di Firenze potrebbe sembrare, all’apparenza, facile. Certo, basta camminare, ammirare qualche palazzo, una vetrina, poi alzare lo sguardo verso un affresco, oppure una statua.

Passeggiare per le vie di Firenze potrebbe sembrare, all’apparenza, facile. Certo, basta camminare, ammirare qualche palazzo, una vetrina, poi alzare lo sguardo verso un affresco, oppure una statua. Si sa, è una città d’arte! Ci sono le chiese, le piazze, le facciate, le torri... Insomma alla fine che sarà mai?! Molto di più. Perché nonostante tutto questo non sia assolutamente poco, tanto che il termine “sindrome di Stendhal” è sinonimo di “sindrome di Firenze”, c’è anche un altro aspetto non irrilevante. La città, così come la provincia, hanno scolpito indelebilmente nelle loro mura un’altra storia del passato, senza presunzione, lontana dai lustri artistici e dai salotti del potere, con i quali veniva sempre a contatto. Una storia un po’cialtrona, furbesca, popolana, spesso irriverente, di aneddoti tratti da storie vere o presunte tali, di “furbi fatti fessi”, boccaccesca, ma che ancora oggi convive tranquillamente con la quotidianità. Leggendo “Il Canto dei Bischeri” di Franco Ciarleglio, edito da Sarnus e illustrato a colori grazie alla campagna fotografica di Aldo Zaccagna, riemerge questo mondo popolare. L’autore, da appassionato conoscitore di aneddoti, leggende popolari e credenze della Firenze medioevale e rinascimentale, ne svela segreti e curiosità. Il corpo centrale del libro è suddiviso nei quattro quartieri principali fiorentini. Rossi, Santa Maria Novella; Verdi, San Giovanni; Bianchi, Santo Spirito e Azzurri, Santa Croce, tutti identificati da mappe precise e meticolose che delineano anche le antiche mura così come si sono trasformate nel tempo a seguito degli avvenimenti storici. Poi Ciarleglio prende per mano il lettore e lo porta a spasso per le vie. Si entra nella Chiesa di Santa Maria Novella dove Filippino Lippi è intento ad affrescare la Cappella degli Strozzi. Nell’affresco il diavolo-dragone esce da una fessura apertasi in uno dei gradini dell’altare maggiore. Tale cavità è cosi verosimigliante che uno dei ragazzi di bottega di Filippino, nel terrore di essere rimproverato dal maestro, vi infilò una fetta di pane con l’olio! Si partecipa alla cerimonia dello scoppio del Carro, con i buoi accuditi dai “grulli”, si ammirano le “porticine per il vino”. Si incontra “Antonio Pierozzi”. Vescovo di Firenze, intorno alla metà del quindicesimo secolo era conosciuto come “Antonino dei consigli”, data la sua fama di dispensatore di aiuti spirituali e la sua corporatura minuta. Dante Pitti e la moglie Marietta, non riuscendo ad avere figli, si recarono in supplica da lui. L’impegno del prelato fu tanto e tale che la coppia ebbe ben sei figli! “Troppa grazia Sant’Antonio!” Ciarleglio ci spiega cosa vuol dire “essere ridotti al lumicino”, “indorare la pillola”, essere “uscio e bottega” o “alle porte coi sassi” e tante altre ancora. Svela perché un balcone è “al rovescio”, cosa raccontano gli stemmi sulla facciata di Palazzo Vecchio, o perché è stata eretta la colonna della Giustizia in Piazza Santa Trinita, a cosa serviva l’effige della ruota del carro nella Loggia del Porcellino. Poi la “storia”, sempre popolare, si sposta in provincia. Pisa, Lucca, Siena ecc. Si passa dalla Buca delle Fate, al sasso delle fate, e poi alla spada nella roccia. Ci racconta perché la splendida torre campanaria di Siena si chiama del “Mangia”, e tanto altro ancora. Un viaggio divertente e curioso, come sempre lo sono le storie popolari, un’esortazione ad alzare lo sguardo per guardare meglio quello che ci circonda. E se ti sembra poco “abbi pazienza!” C’è una via a Pistoia che si chiama proprio così: Via Abbi Pazienza. “Ma la leggenda popolare ha dato un altro significato a quel nome; sembra infatti che un uomo si volesse vendicare di un suo acerrimo nemico che lo aveva gravemente offeso.Approfittando del buio della notte, quell’uomo si era appostato in prossimità dell’abitazione del rivale ed attendeva che questi rincasasse. Nell’oscurità gli sembrò di vedere la sagoma dell’avversario e, accecato dall’odio, gli si avventò addosso pugnalandolo più volte. Accasciatosi al suolo, l’antagonista mostrò il suo volto dolorante appena illuminato dalla luce di una torcia posta sull’angolo della via. Sconcertato, l’assalitore riconobbe in quel volto non il viso dell’odiato rivale bensì quello di un suo caro amico che per un tragico equivoco aveva pugnalato; addolorato e sgomento lo prese tra le braccia e l’unica cosa che riuscì a dirgli fu: “Abbi pazienza!”.  
Data recensione: 03/03/2010
Testata Giornalistica: Arte e Arti
Autore: Elisabetta Venturi