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I dettagli spesso restano più impressi nei ricordi delle cose che si ritengono più importanti. Negli anni ’50, per esempio, molti erano i preti che si muovevano in motocicletta. Preferito era il “Galletto”, giallo o bianco, della Guzzi (don Mario Lupori,

È stato presentato nei giorni scorsi a Firenze il libro di Maurizio Naldini, edito da Sarnus, su don Danilo Cubattoli da tutti conosciuto come don CubaI dettagli spesso restano più impressi nei ricordi delle cose che si ritengono più importanti. Negli anni ’50, per esempio, molti erano i preti che si muovevano in motocicletta. Preferito era il “Galletto”, giallo o bianco, della Guzzi (don Mario Lupori, padre Vanni Desideri…), ma qualcuno osava cilindrate più sportive, come don Danilo Cubattoli. Nelle foto più belle della sua vita c’è quasi sempre anche questo strumento di lavoro, perché don Cuba era il prete della velocità, della corsa verso la casa di colui che ha bisogno anche soltanto di una parola di incoraggiamento. In una istantanea si vede addirittura il cardinale Elia Dalla Costa, molto compreso nel suo gesto, che benedice la moto. Benedetta davvero quella macchina per la gente di San Frediano, per i carcerati, per i ragazzi senza una famiglia. Fra i ricordi di un bambino c’è anche una visita domenicale, famiglia al completo, alla pieve di San Donato in Poggio. Ma il pellegrinaggio non si fermava ai fondi oro che una leggenda popolare racconta siano stati recuperati da mani sacrileghe anche grazie a un suo discreto intervento. Nel giro era compresa anche una sosta alla casa colonica, dove – raccontava la guida con orgoglio –  la sua famiglia aveva vissuto per più di 200 anni. In quella straordinaria comunità della Chiesa  fiorentina degli anni ’50 e ’60, don Cuba aveva dunque assunto la gestione dell’emergenza, quando arrivare in tempo significa sottrarre qualcuno alla disperazione o all’indigenza. Una”volante della carità” tanto più efficace quanto più affonda le sue radici nel territorio, nei suoi simboli, nella sua gente. Don Cuba è a tutti gli effetti uno degli inventori della rete di sicurezza per i giovani che è diventata un modello, un sistema giuridico, per molti anche una scelta di vita al servizio degli altri. Non so se la casa famiglia da lui fondata insieme a Ghita Vogel per accogliere i ragazzi abbandonati fisicamente o moralmente sia stata la prima di tante analoghe esperienze in tutta Italia. Di fatto quella struttura di accoglienza è stata uno dei pilastri sui quali i giovani che si riunivano in San Procolo con La Pira alla fine degli anni ’40 dello scorso secolo hanno costruito quella che rimane nel patrimonio più prezioso della società fiorentina. Il Tribunale per i minorenni del presidente Gian Paolo Meucci e del procuratore Antonio Alessio, il carcere minorile, le case famiglia sono progressivamente diventati altrettanti nodi nevralgici di un sistema fortemente integrato sul territorio nel quale tutti sono chiamati a mettere al servizio dei giovani competenze e convinzioni personali. Del funzionamento di questa macchina basata sulla contiguità di enti e agenzie don Cuba era il primo e più abile meccanico collaudatore, mettendone alla prova in tutte le diverse circostanze soprattutto la capacità di accompagnare i giovani e sostenerli senza sosta nella ricerca di una consapevole identità di uomini liberi.
Data recensione: 20/06/2010
Testata Giornalistica: Toscana Oggi
Autore: Piero Meucci