chiudi

Sono passati due anni, sembra un secolo. Ricordo una pizza notturna con Graziano Cioni e il collega Paolo Ermini, direttore del Corriere fiorentino, dalle parti del Campo di Marte, dopo un talk show a Rete 37.

Sono passati due anni, sembra un secolo. Ricordo una pizza notturna con Graziano Cioni e il collega Paolo Ermini, direttore del Corriere fiorentino, dalle parti del Campo di Marte, dopo un talk show a Rete 37. «Ora scriviamo su un foglietto chi vince e poi dopo le primarie ci si ritrova» apostrofò lo sceriffo. Non sapeva. Non poteva sapere. (…) Poche settimane dopo fu travolto dallo tsunami-giudiziario. Era in vantaggio rispetto al “ragazzo” Renzi, o almeno così credeva. Erano i giorni in cui noi giornalisti, vil razza dannata, ipotizzavamo un ticket Cioni-Renzi. I due si erano annusati, ci stavano a fare il tandem, l’unico problema era stabilire chi dei due – in caso di vittoria a Palazzo Vecchio – avrebbe fatto il «vice». Il problema non si pose. Non fu trovata l’intesa. Assai prima della bufera.Sul Cioni si spalancarono le porte dell’inferno. Intercettazioni. Interpretazioni. Supposizioni. L’area di Castello, quella che era stata già bloccata ai tempi della Bolognina, diventò la trincea delle inchieste e ancora oggi risulta sottoposta a sequestro preventivo. È costata cara a tutti i protagonisti di quel periodo questa storia. A Graziano, disarcionato da cavallo prima di entrare in pista. Ad altri politici locali. A Ligresti con il colosso Fondiaria. A Firenze che, intanto, ha perso pure gli uffici che contano di Fondiaria.Il 10 febbraio si riparte. Lo ha svelato lo stesso Cioni, ieri mattina. «Sarò sempre presente al dibattimento, ma sarà lunga» ha detto, snocciolando date già scolpite nella mente.Un vecchio leone. Ecco come l’ho ritrovato, due anni dopo. Un vecchio leone che sprizza passione da ogni poro. Un comunista nell’anima, quando c’era il comunismo e alla Festa dell’Unità ti servivano i tortellini, altro che cachemere e Icarus. Se non pentito, certo ricreduto. Sui suoi tre nemici di un tempo. L’America («allo stadio se volevi offendere un arbitro non gli dicevi cornuto, ma americano») che poi gli ha conferito una laurea honoris causa facendolo commuovere. La Dc, «non sapete quanto la rimpiango oggi». E Andreotti, «un grande».Qualche dubbio sui leader della sinistra adesso ce l’ha. In particolare su «D’Alema premier, che fu messo lì perché c’era da bombardare il Kosovo e dopo due giorni fu abbandonato da Cossiga».  È un Cioni che ti scruta con l’entusiasmo di sempre, quello da «occhi di ragazzo». Che rilegge la sua storia di piccolo mondo antico («devo delle scuse a Giorgio Morales, rispetto a ciò che dissi quando era sindaco»). Che svela, una volta per tutte, le comiche della gestione Domenici, «uno che pensava “questa città non mi merita”». E poi ammette: «Non l’ho più sentito. Questo è il suo carattere, nessuno può farci niente, neppure lui... Sono stato molte volte a ripigliarlo a casa perché  andava via, era permaloso... Quando Firenze lo mandò al ballottaggio, s’incazzò. Voleva lasciare. Ma era il numero tre del partito, dopo D’Alema e Veltroni».Calca la mano su un aspetto. La cosa che più lo ha rattristato in questi anni è che sul suo tragitto ha incontrato due grandi ostacoli: l’inchiesta della magistratura e una diagnosi brutta. «Nessun dirigente del mio partito mi ha telefonato – sottolinea Cioni. Non tanto per l’inchiesta. Quanto per dirmi: “Graziano, come stai?»  prima di affondare, con saggezza, il colpo su Renzi. «Largo ai giovani – dice. Largo ai giovani che vogliono dare. Ma non sono d’accordo con chi vuol buttare nel sudicio chi ha fatto altre esperienze prima» e – fa capire – ha contribuito alla vittoria. «È capace di far sognare,sempre. Anche davanti a certi fallimenti...». E la riflessione va a sbattere contro «i cento punti, i cento luoghi». Renzi, uno che talvolta «dice tutto e il contrario di tutto.... però riesce. Ma il 17 dicembre (giorno della nevicata disastro, ndr) si è trovato solo. Ci sarà una ragione...».Pur riconoscendogli la capacità di saper «frenare al momento giusto» (come nel caso Civati), Graziano affonda il colpo – nel volume «Cioni ti odia» – scrivendo che «Renzi non cerca il consenso, vuole solo l’adorazione».
Poi parla di vecchi compagni di viaggio: «Ventura, che delusione». Erano i tempi dei giovani di belle spernaze dalle parti delle Botteghe scure. Il tramonto degli anni Ottanta. «La Ztl più grande d’Europa», ma senza parcheggi. Ed è giusto chela prefazione del volume (in cui parla anche di massoneria, della zingara che tentò di rapire un bambino, delle mega cene) sia stata scritta da Marcello Mancini, oggi vicedirettore de La Nazione che i Cioni, i Ventura e i Domenici politicamente li ha raccontati tutti i giorni. Così come è giusto rendere onore a Graziano oggi, anche se su mille battaglie non siamo mai stati d’accordo, fossero «il mercatino multietnico» o «il coprifuoco dei locali notturni». Solo che c’era gusto ad attaccarlo sul Giornale della Toscana fin quando era in sella. Dopo no. Davanti all’inchiesta, non più. Ed è per questo che per la città tutta, di sinistra come di centrodestra, per la politica di oggi come quella di ieri, è arrivato il momento di conoscere la verità. Il 10 febbraio inizia il processo. Cioni dovrà difendersi da accuse che lo hanno costretto a fare un «passo indietro». Proprio quando vedeva già il traguardo. Vogliamo sapere cos’è successo davvero. A Castello. E dintorni. Vogliamo capire fin dove arrivano le accuse e dovei teoremi. Ne vedremo delle belle. Ne sono sicuro.
Data recensione: 21/01/2011
Testata Giornalistica: Giornale della Toscana
Autore: Gianluca Tenti