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È EMOZIONATO, dice, però ha la grinta di sempre. Toccato dalla malattia, vessato dalla magistratura, ma ancora a testa alta. «La situazione è quella che è e nessuno ne può venire meno!» ammonì ai tempi d’oro un militante a un’assemblea del Pci,

È emozionato, dice, però ha la grinta di sempre. Toccato dalla malattia, vessato dalla magistratura, ma ancora a testa alta. «La situazione è quella che è e nessuno ne può venire meno!» ammonì ai tempi d’oro un militante a un’assemblea del Pci, e Graziano Cioni ne ha fatto il motto della sua vita, nonché l’incipit del suo libro di memorie e (forse) di altri progetti per il futuro, «Cioni ti odia, la voce di un politico fuori dal coro» (EdSarnus), presentato ieri. Non certo una resa, semmai un realismo resistente: il presente non sarà come si sognava, fa capire il 65enne ex assessore, ex vicesindaco, exparlamentare passato alla storia di Firenze, ma siccome non si può prescinderne tanto vale starci con gli occhi aperti. Il libro parte da lontano, dai natali a Pontorme da  padre disoccupato e madre confezionista a domicilio, ricorda i trascorsi di cenciaiolo e l’ingresso casuale nel Pci dopo il soccorso al segretario dei giovani comunisti empolesi caduto di motorino, e ripercorre una lunga carriera prima di partito e poi nelle istituzioni, le battaglie contro la massoneria, la ztl più grande d’Europa, le campagne anticorruzione, le megacene, il pieno di preferenze alle elezioni, le ordinanze contro i lavavetri, fino al «Cioni ti odia» vergato sui muri dagli anarco-insurrezionalisti. L’ex responsabile del servizio d’ordine che odiava gli Usa, la Dc e Andreotti e tanti anni dopo accetta la laurea honoris causa dell’Università della Virginia e del «Divo» diventa amico, si definisce «un miracolo del Pci», di quelli «che oggi non sarebbero più possibili».Poi arriva all’oggi. «Il» Cioni ne ha per tutti, soprattutto per i «suoi» sindaci, da Gabbuggiani («geniale ed efficiente»), a Morales («mi crollò quando andò col centrodestra, ma lo stimo»), a Primicerio («grande spessore,oscurato da una giunta di dilettanti allo sbaraglio»), fino a Leonardo Domenici, «politico di primo piano» cui «devo molto» e però, attacca l’ex vicesindaco, «un professionista della politica» con «una stima esagerata di se stesso», tanto da «pensare di ritirarsi» quando finì al ballottaggio, «troppo irascibile» e con un evidente «distacco dalla città». Ben altro sindaco, fa capire Cioni, si sta rivelando Matteo Renzi, che «apre un’epoca nuova della politica fiorentina e italiana». Un «giovane» di «pochi scrupoli», che «corre e corre», capace «di cancellare il fallimento delle promesse con altre promesse», «di dire tutto e il contrario di tutto» e «trattare da appestato» chi viene dal Pci per poi adulare i partigiani. Di cui Cioni respinge «il tono» («anche Previti disse ’non farò prigionieri’, ma lui parlava degli avversari, non dei suoi»), perché «rottamare una intera generazione dà visibilità nazionale ma è un errore», e molte scelte («poveri e anziani non possono dipendere da sponsor privati», ok il Duomo pedonale «ma ci voleva la tramvia»). E però «l’unico che parla di sogni» e «toccale corde giuste della gente», uno che «si mette in gioco» e insomma «si capisce come piaccia al centro sinistra che si è stufato di perdere...». Uno di cui va apprezzata anche la visita ad Arcore: «Troppo a ridosso del voto di fiducia, ma per Firenze ci sarei andato anch’io». Parla chiaro, Cioni, anche «della maledizione di Castello»,  l’inchiesta che segna la fine di una carriera. Rinviato a giudizio per corruzione dice di non sentirsi «perseguitato dalla giustizia», ma che certo «in Italia un innocente sta peggio di un colpevole», perché «non si sa mai come può andare a finire». In ogni caso, promette, «del mio processo non salterò neanche una seduta».
Data recensione: 21/01/2011
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Maria Cristina Carratù