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La lettera-invito di Renato Fucini al pittore Telemaco Signorini pone – rileva Nicola Baronti – dubbi seri sulla ricostruzione storica adottata, oggi, a Vinci

La lettera-invito di Renato Fucini al pittore Telemaco Signorini pone – rileva Nicola Baronti – dubbi seri sulla ricostruzione storica adottata, oggi, a Vinci, per la rievocazione del volo di Cecco Santi. Viene ambientata nel XIV secolo, nella diatriba tra Vinci e Cerreto Guidi. Con ogni probabilità, si tratta di una leggenda toscana, comune ad altri popoli, con caratteristiche e adattamenti locali, nella sceneggiatura e nella scenografia, ma di sicuro con un’origine e una storia molto più recenti, rispetto al “cupo” medioevo vinciano. L’associazione che, ogni anno, d’estate (fine luglio-inizio agosto), organizza il volo, vuole che Cecco Santi fosse un capitano delle guardie, accusato di tradimento, messo in atto per amore di una donna di Cerreto Guidi, castello nemico e, per questo, da espugnare. Condannato a essere buttato giù da una torre, Cecco Santi si sarebbe salvato, grazie alla grande quantità di vino buono bevuto prima del salto.
Lo scrittore Renato Fucini, in arte Neri Tanfucio, scavando nella sua vita, risulta personaggio antipatico, da rifiutare? Per lo storico Giuliano Lastraioli, sì. Scrive: «Nell’approfondirne la biografia, oltreché nell’esegesi attenta della sua non immensa opera, mi sono accorto che non merita la gloria, in vita e postuma, che il lettore medio toscano gli ha assegnato. Gli empolesi, masochisti come al solito, gli hanno dedicato scuole, vie e la pubblica biblioteca, defraudando i poveri preti Giovanni Marchetti e Giuseppe Bonistalli, e dimenticando che il Fucini li odiava in quanto reazionari e bacchettoni». E c’è la certezza, o quasi, che mostrasse, in diverse occasioni, di non amare Empoli. Non gli rimane simpatico anche perché coprotagonista di una tragedia, avvenuta in una frazione del comune di Lamporecchio, quando era ispettore scolastico a Pistoia: «La vicenda della maestrina di Porciano, Italia Donati, morta suicida sotto il fardello delle calunnie di casa Torrigiani, senza che il signor ispettore commendatore Fucini la difendesse». Lastraioli ne ha anche per la famiglia: “Bisognerebbe studiare il perché Fucini non parla mai del versante materno dei suoi ascendenti. Ce ne sarebbe da benedire e santificare: il nonno Giobatta, lo zio matto da legare, l’altro zio Giuliano Ricci affogato in Orme (o in Ormicello) il giorno stesso della sua proclamazione a deputato». Miserie di casa Fucini, annota Lastraioli, evidenziando una raccomandazione a Vincenzo Salvagnoli, vergata da Giovanna Fucini nata Nardi in favore del marito David, quando questi era medico condotto a Vinci e “lamentava il mancato riconoscimento dei propri meriti professionali cagione della sua protratta e aperta ostilità verso il governo granducale”. Insomma, l’obiettivo era avere più soldi. La moglie scrive, probabilmente sotto dettatura del marito, che non è più la polizia a creargli problemi, ma la popolazione, “quasi in totalità retrograda, capitanata da una ventina di preti obbrobrio della loro Casta”. Per questo, “è cessato ogni lucro oltre i miseri 4 paoli al giorno che rende la Condotta, coll’obbligo di tenere il cavallo, e tre visite gratis”. Invece, il poeta Nicola Baronti, cultore di cose vinciaresi (o vinciane) cui ha dedicato alcuni libri e iniziative, parla di un Renato Fucini sboccato, goliardico. Fa riferimento alla lettera-invito, in versi, inviata, d’accordo la famiglia Martelli, al pittore Telemaco Signorini. Quella pubblicata in “Acqua passata”. «Il revisore Biagi – scrive Nicola Baronti - letta la trascrizione della lettera sul manoscritto fuciniano, la trovò probabilmente un po’ volgare per il tempo. Invece di togliere le parti più sconvenienti, con grave pregiudizio, a mio avviso, ne cambiò addirittura le parole e il senso». Dell’originale della lettera, Baronti ne scrive in “Le Befanate e scherzi in poesia”, pubblicato da Sarnus nel 2011. E rileva che, nel luglio dell’anno scorso, gli attori di “Vinci nel Cuore” l’hanno letta nella versione originale, nello spettacolo allestito in centro. «Peraltro – annota Baronti – non voglio prendermi meriti altrui. Anch’io sono arrivato all’originale della lettera, grazie a un a nota di Renzo Cianchi, primo bibliotecario della Leonardiana». Si tratta di «un foglio di quaderno diviso in quattro, che Telemaco Signorini regalò, qualche anno più tardi, a Gustavo Uzielli, il quale lo prestò nel 1901 a Fucini, che vi fece delle correzioni e aggiunse un epigramma per l’amico che, probabilmente, lo pretese indietro». Dal momento che è conservato nel Fondo Uzielli. Cianchi trovò l’originale negli anni Trenta e scrisse nel suo diario «che non riteneva di trascriverlo perché conteneva versi osceni e volgari. Per di più, in quel tempo, a Vinci, comandava ancora la famiglia Martelli, e forse non le avrebbe fatto piacere». Baronti afferma anche: «Ritengo che, se un domani si pervenisse a una riedizione, con revisione critica, di “Acqua passata”, sarebbe opportuno pubblicare la lettera in originale, come del resto era nella volontà del suo principale autore».
Data recensione: 17/02/2013
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Riccardo Cardellicchio