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Sulle orme di Machiavelli, uno dei suoi più profondi studiosi, Francesco Bausi, ha dismesso i “panni regali e curiali” del filologo e dello storico

Sulle orme di Machiavelli, uno dei suoi più profondi studiosi, Francesco Bausi, ha dismesso i “panni regali e curiali” del filologo e dello storico (sue sono l’edizione critica nazionale dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e forse la migliore biografia di Machiavelli in lingua italiana) e ha indossato quelli del romanziere. O, per meglio dire, ha indossato i panni del romanziere, continuando a vestire anche quelli dello studioso. Il suo romanzo inizia e finisce, infatti, con due documenti che raccontano fatti realmente accaduti nel maggio 1510, quando Machiavelli era ancora il segretario della seconda cancelleria fiorentina: una denuncia anonima ai suoi danni che lo accusava di praticare atti sessuali illeciti e contro natura con la cortigiana Lucrezia la Riccia; e il relativo verdetto della magistratura degli Otto (se di condanna o di assoluzione non diciamo, per evitare l’effetto spoiler). Tutto quanto sta in mezzo è frutto della penna di Bausi, che ci mostra un Machiavelli angosciato dal rischio di vedere compromessa la propria reputazione e, con essa, la carriera politica e la stessa sussistenza familiare; che si aggira febbrile per i vicoli malfamati e i palazzi patrizi di un’afosa Firenze, in cerca di notizie, appoggi e protezioni utili a evitare un giudizio di condanna.
Da ogni incontro che Machiavelli ha in quelle convulse giornate emerge un lato della sua sfaccettata personalità: amatore che improvvisa strambotti alla chitarra con la bella Barbara e marito tiranneggiato dalla moglie Marietta; plebeo di ingegno acutissimo e votato al paradosso e fine scrutatore delle profondità dell’animo umano, capace di parlare come il grande imitatore da Kempis (“La pace l’ho trovata solo in un cantuccio, con un libro in mano”) o come l’Erasmo del Duce bellum inexpertis (“Se vi piace la guerra, vuol dire che non l’avete mai vista in faccia”). A parte questi pochi prestiti (ma Machiavelli fu un grande scrittore anche perché capace di rubare le idee altrui), il lettore trova nel libro i nodi più affascinanti del suo pensiero, presentati attraverso gli ipsissima verba (i più esperti si possono anche divertire nella caccia alla citazione) e soprattutto mostrati nel loro farsi, a contatto con quelli che furono gli interlocutori (sempre polemici) di Machiavelli, dei savonaroliani di San Marco, a Francesco Vettori fino a Guicciardini. Particolarmente felice è il dialogo tra i due, rappresentazione efficacissima di affinità e differenze tra Nicolò e “messer Francesco”.
Nelle intenzioni di Bausi è chiaro l’intento di leggere in una vicenda di cinquecento anni fa un “apologo semiserio dell’Italia di oggi”, come si legge nella quarta di copertina. Allora come oggi, denunce anonime per questioni riguardanti la privacy rischierebbero di travolgere carriere politiche. Non solo: qualche mese prima della “tamburagione” a sfondo sessuale, era arrivata agli Otto un’altra lettera anonima, in cui si negava l’”agibilità politica” al segretario fiorentino, adducendo i debiti con il fisco contratti dal padre Bernardo. Queste accuse incrociate di evasione fiscale e di scandali sessuali, volte a togliere di mezzo un uomo politico irrispettoso del paludato conservatorismo politico della propria città, hanno suggerito a Bausi il paragone con il presente. Bisogna dire che, come ogni analogia, anche quella tra le vicende dell’uomo politico fiorentino Niccolò Machiavelli e quelle di politici italiani più recenti è irrimediabilmente zoppa. Il Machiavelli di Bausi ha un bel lamentarsi che “qui si va a spiare dal buco della serratura: chi se ne fraga di quello che faccio in casa mia o in casa d’altri, di chi mi porto a letto e di quello che faccio! Saranno affari miei! Guardino a quello che faccio in Palazzo Vecchio, piuttosto, e alle porcate di chi fa il santarellino, il duro e puro, l’uomo tutto di un pezzo… e invece si mette in tasca i soldi del comune”. Questo Machiavelli avrebbe ragione in linea di principio. Se però vogliamo guardare alla “verità effettuale della cosa”, nell’Italia di oggi non esiste più la dicotomia tra “quello che faccio in casa mia” e “quello che faccio in Palazzo Vecchio”, visto che molte Lucrezie Ricce sono entrate “in palazzo” proprio in virtù di quello che facevano “in casa”. Allo stesso modo, la denuncia di evasione fiscale lanciata contro un uomo “abituato prima a stentare che a godere” (come Machiavelli a ragione definiva se stesso) è diversa da quella giunta contro chi era riuscito a vanificare le precedenti accuse mutando a proprio favore leggi e ordini della comunità.
Piuttosto che nel dare insegnamenti politici dal passato al presente, il libro di Bausi funziona nel senso opposto. Spesso, per essere buoni storici, occorre iniziare proprio da uno sforzo di immaginazione di cosa volesse dire essere uomini e donne cento, cinquecento, un milione di anni fa. E grazie a una sovrana conoscenza dei luoghi e delle parola della Firenze primocinquecentesca, Scandalo Machiavelli aiuta il lettore a comprendere proprio un tale esperimento mentale, e rafforza l’opinione che alcuni dei frutti più freschi dell’appena trascorso cinquecentenario del Principe siano nati su un terreno esterno al recinto dell’accademia. Ne aveva già dato il sospetto la “machiavelleria” di Adriano Sofri, lo conferma ora, pur da premesse opposte, il romanzo di Bausi.
Data recensione: 01/06/2014
Testata Giornalistica: L’Indice dei libri del Mese
Autore: Lucio Biasiori