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Se ti dicono chiorbóne non è un offesa, si intende semplicemente sottolineare l’evidente testardaggine, ma se ti appellano con un barbòcchio o babbalèo … beh forse

Se ti dicono chiorbóne non è un offesa, si intende semplicemente sottolineare l’evidente testardaggine, ma se ti appellano con un barbòcchio o babbalèo … beh forse è il caso di riflettere se l’ingenuità non sta sconfinando nella scempiaggine. Modi di dire, termini pratesi che nel tempo sono andati perduti ma che Giovanni Petracchi ha voluto ricordare nel suo volume «Detti e parole della terra di Prato», edito da Polistampa, che oggi alle 17 sarà presentato a palazzo Buonamici dall’autore insieme a Urano Corsi e Francesco Venuti. Petracchi, pratese d’adozione e vaianese di nascita, si dedica da tempo di ricerche storiche, linguistiche e di costume del suo territorio. Sa bene che dietro agli appellativi, ai detti e alle espressioni più o meno colorite del dialetto è racchiuso un modo di vivere e sentire, un insieme di usi e tradizioni che vengono da lontano e di cui ancora oggi c’è traccia. Così ha iniziato la sua ricerca in parte sui libri, ma soprattutto per strada, nei mercatini, sull’autobus (perché il tram, anzi il tràmme, non c’è più). Nel librio ci sono poi i piatti tradizionali, compresi i celebri biscotti di Prato, e le cartoline d’epoca, una piccola collezione che spazia per tutto il Novecento: guardando Palazzo Pretorio com’era nel 1916, o un panorama di Galceti negli anni ’50, sembra proprio di sentire voci dal passato che parlano di panni e cenci.
Data recensione: 30/10/2015
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: ––