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Di definizioni ne passano mille, nella testa. Un film fuori dagli schemi, a parte, così anomalo da essere sfuggente e frainteso

Di definizioni ne passano mille, nella testa. Un film fuori dagli schemi, a parte, così anomalo da essere sfuggente e frainteso. Eppure a riguardarlo 26 anni dopo, Ivo il tardivo ha mantenuto intatto il fascino indiscreto dettato da un nuovo, importante passo del viaggio poetico nella diversità del regista e protagonista Alessandro Benvenuti. A raccontare la storia, i segreti, i tanti volti della sesta opera cinematografica di Benvenuti, che trasformò un borgo disabitato – Castelnuovo dei Sabbioni, nel Valdarno – in un set tra sofferenza e fiaba, sono due “benvenutologi” per definizione, i giornalisti Enrico Zoi e Philippe Chellini che, per Polistampa, pubblicano il libro-tributo Ivo il tardivo. Indagine su una pellicola folle e straordinaria. Dove si approfondisce un film la cui lavorazione fu segnata dalla crisi della collaborazione tra lo stesso Benvenuti e il suo “alter ego”, lo sceneggiatore Ugo Chiti. Il tema non era semplice: per la prima volta il cinema italiano si occupava di autismo, per giunta attraverso una commedia. Eppure Benvenuti non reputa Ivo un unicum nella sua filmografia. Dice: «Mi pare più azzardato Belle al bar, dove un eterosessuale si innamora di un cugino transessuale. Ho sempre amato affrontare storie inappropriate ad una narrazione comica, se per comicità s’intende quella del cinepanettone ». Casomai fu avventuroso il pensiero che c’era dietro, il modo di concepirlo: «Ho interpretato Ivo secondo il mio istinto. Non ho frequentato autistici reali, come di solito fanno gli attori veri. L’approccio è avvenuto attraverso il disegno più che secondo una preparazione psicologica o una sceneggiatura tradizionale; poi ho scoperto che la grafica è un metodo usato da molte persone affette da problemi. Le loro pagine piene zeppe di scarabocchi sono una specie di diario, così anche il taccuino di Ivo». Delizia e croce del film, «perché quei disegni provocarono la frattura con Chiti, che non capiva perché procedevo in quel modo senza, secondo lui, dare peso a cose più importanti. Ma grazie a quella separazione la nostra amicizia è salva, siamo fratelli di sangue». A rendere speciale la storia di Ivo “il matto” – il personaggio già aveva fatto la sua comparsa in Zitti e mosca – ossessionato dall’enigmistica tanto da coprire la facciata della sua casa con disegni di rebus e cruciverba che poi saranno la sua salvezza, fu anche il paese stesso, e gli abitanti della zona coinvolta nel set: «Mentre giravamo, sono accadute cose che hanno determinato cambiamenti nella sceneggiatura, deviandola da quello che mi ero proposto perché si verificavano eventi e incontri più veri di quanto avevo scritto. Il film è stato fatto dal territorio». Nel cinema di Benvenuti non bisogna mai fermarsi all’apparenza. Tanto più in Ivo il tardivo, che tocca un tema importante con «una sensibilità rara» dice Zoi, padre di un ragazzo autistico: «È un ritratto assolutamente attendibile e veritiero e questo non è poco, visto che oggi i ragazzi affetti da questa neurodiversità sono raccontati – soprattutto dalle serie tivù – come dei genietti divertenti in grado di conquistare il mondo. Le cose non stanno proprio così, e Benvenuti ce lo raccontava 26 anni fa, intuendo anche soluzioni che allora erano all’avanguardia, come le case famiglia». Il libro è diviso in due parti, e in due stili di scrittura diversi: la prima è un diario in differita della lavorazione, giorno per giorno, attingendo da scritti di Benvenuti, da interviste, da documenti; la seconda penetra nel film, scorgendone «equilibri e disequilibri senza mai perdere di vista la coralità, che trasformò il il borgo in una meta di pellegrinaggio, e di sciacallaggio delle scenografie» ricorda Zoi. Nel retro della copertina, uno dei disegni centrali del film con una frase: Ivo è un uovo insanguinato, «non solo per il dolore intellettuale e fisico provato durante il film – conclude l’attore – ma anche per quello provocato dai critici, che reputarono il titolo un handicap, da serie b. Se lo difendo ancora oggi? Io non difendo nulla, faccio e basta. E quel titolo è bellissimo».
Data recensione: 22/05/2021
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Fulvio Paloscia