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Andrea Papini. Le erbe selvatiche in tavola? «Sicuramente un’usanza da riscoprire e da valorizzare»

Dopo i ricchi pasti serviti durante le feste, portare un po’ di erbe in tavola (come il titolo del fortunato libro di Andrea Papini edito da Sarnus) non dovrebbe essere una cattiva idea … come del resto ci insegna la cultura alimentare povera contadina. Un’usanza da riscoprire, magari andando direttamente in prato a raccoglierle personalmente. Allo stesso prolifico scrittore chiediamo se la gente, però, è ancora in grado di riconoscerle.
«Una premessa è necessaria sul tema della raccolta delle erbe selvatiche: chi fa questa scelta deve essere adeguatamente motivato, in particolare deve avere come obiettivo la conoscenza della natura e contestualmente il contrasto al consumismo imperante. Ciò perché non è così semplice come può sembrare, dato che le erbe ancora ci circondano e riempiono i nostri campi. In effetti andare in cerca di erbe è complesso, ad esempio molto di più che dedicarsi alla ricerca di funghi che non sono fitti e difficilmente si mescolano tra loro. Per le erbe non è così: quelle buone sono associate a mille altre e quindi la cosa più difficile è riconoscerla tra le tante. Per evitare frustrazioni un consiglio è necessario: imparare ad individuarne inizialmente poche specie e poi la curiosità farà il resto. È sicuro che questo vale per la maggior parte delle persone salvo quei pochi che hanno nella loro esperienza familiare chi li ha in qualche modo aiutati».
Ci regala un paio di suggerimenti culinari a base di erbe, sottolineando gli eventuali benefici per la nostra salute?
«Approfitto di questa domanda per fare alcune considerazioni sulla cucina popolare del passato: una cosa che può apparire in contrasto con quanto il mio libro propone, è che non esistono ricette con ingredienti rigorosamente definiti. La cucina popolare fa uso di quello che si trova al momento e in questo modo assicura quella stagionalità purtroppo disattesa dal nostro stile di vita. Un secondo aspetto è che nei vari piatti regionali si aggiungono alle erbe dei prodotti sicuramente poveri, tipici dei luoghi. Per citare poi il piatto che per me è simbolico di questa cultura occorre fare riferimento alla “zuppa”. La si declina nelle varie regioni e nei diversi territori con nomi e particolarità diverse. Da noi è la Zuppa Frantoiana con l’olio novo; in Veneto c’è il Pistic con formaggi freschi; in Piemonte Fiji con l’aglio; in Liguria troneggia il Preboggion con la borrana; in Lunigiana il Centerbe; in Maremma l’Acqua cotta con l’ovo; in Puglia e Calabria il Pancotto in cui predomina il pane. Vedete quanta fantasia aveva la gente del passato!»
Lei abita a Carraia (una frazione di Calenzano) un territorio che sicuramente ama visto che in quello che è il suo ultimo libro edito ha individuato e suggerito alcuni suggestivi percorsi a due passi da casa.
«Siccome sono il padre di tutti questi percorsi e non posso prediligere uno dei figli, potrei dire che spetta a chi deve scegliere, considerare quanto e cosa questi offrano, tenendo conto che non sono i classici itinerari che conducono a una meta ma sono invece occasioni per osservare e conoscere passo passo quanto di bello ci circonda».
Giocando d’anticipo segnaliamo che sta per uscire a Febbraio la sua più recente fatica editoriale “La magnifica Travalle – Una fantastoria verosimile” (ed. Sarnus) che ancora una volta è dunque dedicata al territorio della Piana. Di che si tratta?
«Con il lavoro su Travalle ho proseguito quanto avevo fatto su Carraia e poi su Legri. Lo scopo di questi tre lavori è lo stesso: approfittando della descrizione dei luoghi e delle vicende, sostenere alcune tesi. Prima fra tutte che la vera storia di un territorio, la fanno gli umili popolani. I ricchi vantavano le loro imprese e facevano edificare ville e castelli, il popolo si prodigava faticosamente a regimare le acque, a ricercare preziose sorgenti e fonti, costruire terrazzamenti e viottole, mantenere boschi e creare campi e praterie. E mentre ville e castelli vanno in rovina o cambiano radicalmente destinazione, le opere degli umili costruiscono l’immagine indelebile del territorio».
Data recensione: 19/01/2024
Testata Giornalistica: Il Giornale del Bisenzio
Autore: Bruno Santini