chiudi

“È a tempo, professore. Entri, la prego, entri. Non stia lì. Faccia attenzione, però: chini la testa, che quelle travi fanno male a batterci contro. Ecco,

“È a tempo, professore. Entri, la prego, entri. Non stia lì. Faccia attenzione, però: chini la testa, che quelle travi fanno male a batterci contro. Ecco, così”.
Il  professore è Renato Fucini, chi gli si rivolge è un personaggio incredibile: Beatrice di Pian degli Ontani, che in realtà abita a Pian di Novello. È la pastora poetessa in ottava rima. Il canto dell’Appennino Toscano, che ha stupito Firenze. All’anagrafe Beatrice di Giovacchino Bugelli, vedova di Beppe Bernardi.
L’ha scoperta il Tommaseo, che ne pubblica i versi. La seguono, ovunque vada, il Tigri e il Giuliani. La venerano il Giusti, il D’Azeglio, il Pascoli e il Martini.
Analfabeta, ha mostrato la sua bravura il giorno delle nozze. A vent’anni. È nata nel 1802.
Da allora, ne sono passati, di anni.
“E l’altra sera, al tramontar del sole/ pensavo a te, che eri lontano tanto!/ E mi parea udir le tue parole,/ ma erano dolorose come pianto!/ E sospirar sentia sommessamente,/ e afflitta in volto mi parea ala gente./ Ah, l’ora del tramonto, è una mest’ora,/ e tu, caro mio bene, non torni ancora”.
Risponde così a chi canta “Maremma amara”, nata – contrariamente a quanto si crede – tra i montanini costretti a raggiungere il Padule di Fucecchio per lavorarare. È gente della cosiddetta (ora) Svizzera Pesciatina, di Pontito.
L’estro e la personalità non mancano a Beatrice. Li ha tali da non farle avere praticamente rivali in feste paesane e salotti.
Si muove volentieri. Rimasta vedova presto, passa di luogo in luogo. Ma sono numerosi quelli che vanno a trovarla. Il Giuliani la descrive così: “Ha un par d’occhi grandi e nerissimi, e suol piantarveli senza mai abbassarli: piuttosto costringe i vostri a inchinarsi ammirati. Nella sua fronte rilevata e aperta sfavilla l’ingegno. E voi le vedete la cara onestà dipinta in volto, scolpita negli atteggiamenti della persona ed espressa in qualsiasi accento”. E in una lettera spedita da Cutigliano al Tommaseo, nel luglio 1858, lo stesso Giuliani afferma: “Ell’è davvero un portento di natura: il suo verso prorompe di limpida e larga vena, e si dispiega abbondante né fallisce mai”.
Hanno scritto in molti di lei. Ultimo, in ordine di tempo (“Il Corriere di Firenze” ne ha accennato recentemente) Paolo Ciampi in “Beatrice. Il canto dell’Appennino che conquistò la capitale” (Sarnus, pagg. 135, euro 10). Collana: la Toscana racconta.
Ciampi ha dato alla narrazione un taglio particolare. Immagina che a raccontare la sua vita, di pastora e poetessa, sia lei stessa, direttamente. Che si confida con il professor, arrivato a Pian di Novello, nonostante il tempo inclemente, nella casa costruita dopo che, nel 1836, il Sestaione aveva distrutto quella in Pian del Catino.
Arriva,  Renato Fucini, il 25 marzo 1885, quando la donna, ottantatreenne, sta morendo.
Ma fa in tempo ad ascoltare il racconto di lei, di questa donna straordinaria.
Paolo Ciampi, giornalista e scrittore, fiorentino, ama la letteratura di viaggio e, soprattutto, i personaggi dimenticati nelle pieghe della storia.
Alcuni titoli: “Gli occhi di Salgari” (Premio Castiglioncello per la biografia, “Il poeta e i pirati, “Un nome” (Premio Villa Morosini”, da cui è stata tratta la versione teatrale intitolata “Un nome nel vento” e “Firenze e i suoi giornali”.
Data recensione: 25/06/2008
Testata Giornalistica: GoNews
Autore: Riccardo Cardellicchio