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È una storia vera ma sembra una fiaba, tanto seduce e commuove, quella di Beatrice Bugelli. Pastora analfabeta ma nata col dono dell’improvvisazione poetica, nella prima metà dell’Ottocento incantò la gente semplice del Pian degli Ontani e i salotti della

È una storia vera ma sembra una fiaba, tanto seduce e commuove, quella di Beatrice Bugelli. Pastora analfabeta ma nata col dono dell’improvvisazione poetica, nella prima metà dell’Ottocento incantò la gente semplice del Pian degli Ontani e i salotti della nobiltà fiorentina, popolani e letterati raffinati come Tommaseo e Fucini. Recitava, sempre all’impornta e spesso su comando, ottave in endecasillabi rimati nel dialetto toscano garbato e aggraziato come sa esserlo sui monti del pistoiese. Il suo estro non temeva di misurarsi – lei completamente illetterata – con gente «studiata», e partecipava alle gare di contrasto nelle sagre di paese, sfidando altri improvvisatori come lei in interminabili catene di endecasillabi. E sbaragliava sempre i rivali.Se il più agguerrito di loro. Francesco Chierroni detto Cecco, così la provocava: «Dimmi qual è quel pian che non ha costa/ e quell’uccellin che voli senza l’ale;/ quel ser che scrive senza penna e inchiostro/ e senza carta e senza calamare», lei ribatteva all’istante: «Il cielo l’è quel pian che non ha costa,/ l’angiol di Dio l’uccel che volta senza l’ale;/ Dio ’l ser che scrive senza penna e inchiostro,/ e senza carta e senza calamare». Né le mancava l’ironia, come attesta la sua risposta a uno sfidante, di mestiere sarto: «Se tu se’ sarto quanto sei poeta/ povero panno e disgraziata seta». Non ebbe vita facile, Beatrice. Nata nel 1802 (morì nell’85), si sposò ventenne, sfornò otto figli, conobbe lutti, miserie e avversità, ma reagì sempre con animo forte e tenacia. Ebbe però le sue gratificazioni. Quando la sua fama si diffuse, i salotti buoni della Firenze capitale le resero onore, recitò davanti al re, scrissero un suo encomio Tommaseo e perfino una studiosa americana. Cantò l’amore e le sue pene con versi dolenti da far invidia a un poeta laureato: «Chi v’amerà, ben mio, se non v’amo io?/ Chi m’amerà se non m’amate voi?/ Chi avrà pietà del dolor mio,/ altri che voi di me, caro amor mio?/ Chi avrà pietà del mi’ dolore/ altri che voi di me, caro mi’ amore?». Genuina voce del popolo, fu soprattutto, e non indegnamente, poeta.
Data recensione: 27/09/2009
Testata Giornalistica: Il Giornale
Autore: Nicola Crocetti