chiudi

Quarant’anni in trincea e 188 pagine per raccontarli. «Cioni ti odia» (Sarnus editore) è l’autobiografia che l’ex assessore, vicesindaco, senatore, lo ’sceriffo’ per antonomasia della scena politica fiorentina, ha scritto in pochi

Quarant’anni in trincea e 188 pagine per raccontarli. «Cioni ti odia» (Sarnus editore) è l’autobiografia che l’ex assessore, vicesindaco, senatore, lo ‘sceriffo’ per antonomasia della scena politica fiorentina, ha scritto in pochi mesi per raccontare la sua politica. Una voce fuori dal coro. Il titolo lo ha tratto da una delle scritte che hanno tappezzato i muri della città per più tempo. L’idea di «diciannove balordi e vigliacchi sedicenti anarco-insurrezionalisti che hanno tenuto in scacco la città per dieci anni tollerati dalla forza dell’ordine e della magistratura». Già, quella stessa magistratura che, da due anni a questa parte, sta tenendo in scacco lui. Accusato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta su Castello. Deciso a difendersi fino in fondo. Perché per lui che ha più volte denunciato tentativi di corruzione nei suoi confronti, quella è sempre stata l’accusa più infamante.Nel partito e nella vita politico-amministrativa della città ha fatto praticamente di tutto. «Non so se oggi – spiega – sarebbe ancora possibile per uno che ha fatto solo la terza media inferiore come me, figlio di una confezionista a domicilio e di un disoccupato, uno che è stato levato da scuola per andare a fare il commesso prima e poi il conciaio, diventare senatore e vicesindaco di una città importante come Firenze. Quello è stato un miracolo del Pci. Oggi nel bene e nel male, non sarebbe più possibile».Lunga la sua storia. Nel libro lo ‘sceriffo’ non si smentisce: senza lesinare nomi e cognomi, affronta con schiettezza quasi brutale temi caldi degli ultimi 40 anni a Firenze e in Italia: la massoneria (fu lui a far pubblicare nel 1993 su «L’Unità» l’elenco degli iscritti alle logge toscane), la fondazione con Antonio Di Pietro dell’Italia dei Valori, compreso un ardito passaggio sulla Gladio Rossa. C’è anche un intero capitolo sulla sua croce personale: «La maledizione di Castello». Cioni descrive tutto da testimone diretto, prima come esponente del Pci, poi di Pds, Ds e Pd, raccontai sindaci che si sono alternati a Palazzo Vecchio, da Elio Gabbuggiani alla nuova era di Matteo Renzi, passando per Giorgio Morales e Mario Primicerio. Senza dimenticare Leonardo Domenici. «Lo chiamarono a Firenze per evitare che fossi io a fare il sindaco – ricorda – e sono stato per dieci anni al suo fianco». Da quando è stato eletto al parlamento europeo non lo ha più sentito. «Eppure – ricorda – ero io ad andare a riprenderlo a casa quando si arrabbiava e lasciava Palazzo Vecchio». Oppure quando dopo cinque anni da sindaco, offeso per essere stato mandato al ballottaggio, minacciava di non ricandidarsi per il secondo mandato. Domenici comunque non è il solo a essere ’sparito’ dalla sua vita: «Da quando mi sono ammalato, nel 2008, e poi dal mio coinvolgimento nell’inchiesta giudiziaria su Castello – spiega – quello che mi ha fatto più male è che sono stato lasciato solo,non dalla gente, ma dal mio partito: non ho mai ricevuto una telefonata da un dirigente, non dico per esprimermi solidarietà per l’inchiesta, quello capisco che non venga fatto, ma semplicemente per chiedermi: come stai?».Un paragrafo si intitola «Un grande statista» ed è dedicato a Massimo D’Alema: «Lo ritengo uno statista di primo piano. Forse troppo sicuro di sé, circondato da dalemiani a volte poco raccomandabili ma sicuramente ha dimostrato di essere un cavallo di razza della politica italiana, come oggi non ce ne sono più». Il libro ha l’introduzione del vicedirettore de La Nazione Marcello Mancini e riporta, tra gli altri, le testimonianze del sociologo Giandomenico Amendola, dell’ex procuratore Ubaldo Nannucci e dell’ex esponente della Dc fiorentina Giovanni Pallanti che con Cioni è rimasto separato da decenni da una fiera rivalità politica. Dopo tante battaglie politiche lo scontro che ha perduto è stato quello con il rampante Matteo Renzi. Ma il giudizio più severo è per quel che resta del suo partito: «Renzi è vincente in un centrosinistra che ha un elettorato che non ne può più né di perdere, né di una classe dirigente litigiosa e arrancante».
Data recensione: 21/01/2011
Testata Giornalistica: La Nazione
Autore: Paola Fichera