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Veniva su vento fresco dalla valle che guarda il mare. Ora era un refolo, ora una folata che muoveva le chiome degli alberi, guardiani del Poggio Salamartano, davanti all’abbazia di San Salvatore

Veniva su vento fresco dalla valle che guarda il mare. Ora era un refolo, ora una folata che muoveva le chiome degli alberi, guardiani del Poggio Salamartano, davanti all’abbazia di San Salvatore. Antico cimitero. Luogo d’ombre. Di silenzi. Di misteri. La parte vecchia era immersa nel silenzio, rotto dal frusciare del vento. Poco tempo prima era animata. C’era più gente del previsto alla presentazione dell’ultimo libro, in ordine di tempo, di Carlo Lapucci: “Le leggende della terra toscana”, edito da Sarnus (Polistampa). Con lui: Carlo Taddei (Fucecchio riscopre), Alberto Malvolti (Fondazione Montanelli Bassi), Marco Cipollini (in qualità di critico-presentatore), Andrea Giuntini (attore-lettore) e l’editore Antonio Pagliai con figlio. Primo incontro del “Caffè del Poggio”. Si era disquisito sulle leggende, molto diverse dalle favole. E ci si era soffermati sulla leggenda di San Remigio, in quel di Poggio Adorno: il santo protettore delle donne in cerca di marito. Ora, nel silenzio, sollecitato dal luogo, veniva nitido un ricordo. Qualche anno fa, Massimo Andreini voleva una storia misteriosa su Fucecchio: buona per scomodare Diabolik e pubblicarla, nei giorni di Marea, in un piccolo albo. Mi venne in mente la leggenda della croce sul Poggio Salamartano. Si racconta che nasconda il tesoro dei Cadolingi, famiglia feudale. Conti di Fucecchio e Pistoia. Possedimenti fino alla Val di Pesa. Narrano gli storici che parteciparono alle lotte religiose. Dapprima furono con il Papa. Lotario fece diventare Badia a Settimo epicentro delle idee riformiste. Poi, però, cambiarono bandiera e si schierarono con Ugo di Toscana, capo dei sostenitori dell’imperatore. L’ultimo dei Cadolingi morì nel 1113. «Sul Poggio – rilevai – fino alla venuta dei francesi, c’era un cimitero. E la croce non era quella che si vede ora, di ferro battuto, ma di legno, L’attuale fu messa nel 1905, a conclusione di una missione. A forgiarla furono Dante Canovai, Pietro Doddoli e Palmiro Morelli, con ferro fornito da un Moretti». Gli piacque e tornò con chi era incaricato di disegnare il fumetto: Giuseppe Palumbo. Che non era uno qualsiasi. Anzi. Nato a Matera nel 1964, laureato in lettere antiche, padre – come disegnatore – di "Ramarro". Docente, dal 1990, alla scuola di fumetto di Milano. Dal 1995, nello staff dei disegnatori di Martin Mystere. Nel 2001, ha ridisegnato il numero 1 di Diabolik e, nel 2004, ha realizzato una nuova storia di Diabolik su testi di Sandrone Dazieri e Tito Faraci. La raccontai anche a lui, aggiungendo particolari. Le leggende hanno questo di buono: che sopportano aggiunte. Indicai i luoghi canonici. Poi c’infilai anche il Padule, altro luogo pieno di fascino, capace di dare il via a fantasie. E il Parco Corsini, con il suo carico di storia. E la Buca D’Andrea, con il Palio delle contrade: evento che scatena rivalità. E la via Francigena, palcoscenico per briganti senza scrupoli. Dopo alcuni giorni, Andreini tornò con il prodotto finito. Titolo “Marea di ricordi”. La leggenda era servita per immaginare un soggiorno di Diabolik a Fucecchio, con Eva, in un clima di mistero, adatto ai personaggi. Album visto e preso. Fino a diventare introvabile. Quasi una leggenda.
Data recensione: 17/07/2011
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Riccardo Cardellicchio