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«Il vicario foraneo comincia con le domande e io rispondo senza dare a vedere che tremo. Mi chiamo Gostanza, figliola di Michele da Firenze. Abito al Bagno (…). La gente mi vuol bene. Quanti figlioli ho? Tre. Un maschio e due femmine

«Il vicario foraneo comincia con le domande e io rispondo senza dare a vedere che tremo. Mi chiamo Gostanza, figliola di Michele da Firenze. Abito al Bagno (…). La gente mi vuol bene. Quanti figlioli ho? Tre. Un maschio e due femmine (…). Di che vivo? Non ho niente. Ma vivo nella grazia di Dio. Che fatiche faccio? Filo e faccio nascere bambini. È una bella cosa. Sono trent’anni che faccio nascere bambini. La gente mi chiama. Si fida di me.» la gente. È vero che la gente vuol bene alla vecchia (ormai ha sessant’anni) Gostanza da Libbiano, una contadina che fa la levatrice e cura con le erbe medicinali. Attenzione, però, la gente cambia d’umore con facilità. Può darsi che una volta il parto riesca male e muoia il bambino. Può darsi che una volta le erbe che hai scelto per curare un malanno particolarmente brutto non servano a nulla e il malato vada al Creatore. Allora, una parola tira l’altra, come le ciliege. C’è chi spettegola e chi dubita della tua buona fede. Da parte sua, l’Inquisizione, che dappertutto ha occhi e orecchi, perchè il demonio è dappertutto, e va contrastato, indaga. Questa Gostanza. Non sarà che le sue arti siano volte al male? Che abbia “commercio” con Satana? Che sia una strega? Ecco perché Tommaso Roffia da San Miniato,vicario foraneo del vescovo di Lucca, la sta interrogando. Lui la incalza, lei cerca di difendersi. Lui vuole che confessi, lei che ha orrore della tortura (i terribili “tratti di corda”) piano piano si fa carico di ogni possibile capo di accusa – i più fantasiosi, i più assurdi – pur di essere risparmiata. Grida: «No, basta con la fune (…). Mi ruba il corpo, mi ruba l’anima. È peggio di una sega. Tutto mi martirizza. Le mie ossa si squagliano». Siamo nel novembre del 1594. Gostanza confesserà gli atti più nefandi, i più osceni incontri col diavolo. Danze sabbatiche. Congiungimenti carnali, neonati a cui viene succhiato il sangue... Non è vero niente, ma lei stessa finisce col crederci. Mi volete così, sono così.
A due passi dalle fiamme, però, l’inquisitore di Firenze, fra’ Mario Porcacchi, cui sono stati trasmessi tutti gli atti del processo, smonta le presunte rivelazioni della presunta strega. «la povera monna Gostanza – scrive a Tommaso Roffia – ha raccontato certe cose per i tormenti. Quel che ha detto non corrisponde al vero.(...)Per questo, rilasciate monna Gostanza». Storia di streghe, storia di donne. Perchè è indubbio che alla base di tanti spietati verdetti ci fosse anche un pregiudizio antifemminile. La donna e (è) il peccato, da Eva in po? Se la donna conosceva artifizi ad altri ignoti, non era forse ispirata dal demonio?
Dietro la storia di tanti roghi che furono accesi – molti di più nella cosiddetta “età moderna” che nei medievali “secoli bui” – c’è anche questo. Il potere prepotente e superstizioso che si accanisce sui più poveri e sui più deboli. Sul sesso debole, ma ammaliatore. Però – ed è il caso di Gostanza – non sempre e non tutti gli inquisitori erano assetati di sangue. C’era chi cercava la verità, chi era capace di scavo intelligente e di pietas dinnanzi ad una povera donna incapace di reggere alla tortura e dunque capace di gravarsi di ogni ignominia perché lo strazio delle carni avesse fine. Tra i mostri della Superstizione e quelli della – maiuscola! – Ragione (pensiamo agli orrori della Rivoluzione Francese), alla cultura l’arduo compito di testimoniare edi trasformare il documento in scrittura “creativa”, dando ai personaggi una loro “esemplarità”. È quello che fa Riccardo Cardellicchio, giornalista (è stato a lungo caposervizio del quotidiano Il Tirreno) e scrittore , attingendo a casi illustri tra cronaca e storia. La sua rievocazione di Gostanza è affidata ad una prosa di nitore cristallino, schietta, pulita, senza un goccio d’enfasi, eppure drammatica nel suo parlato ”nudo e crudo”.
Giornalismo di rango, questo, senza dove l’ombra di una di una ricercatezza stilistica non aggiungerebbe ma toglierebbe qualcosa. Addirittura guasterebbe l’effetto. Ma nel libro di Cardellicchio la strega e il vicario (Sarnus, pp. 105, euro 10) ce ne sono due di documenti. Quello relativo a Gostanza (che può essere integrato con la lettura del saggio di Franco Cardini, Gostanza, la strega di S.Miniato, LaTerza, e con la visione del film di Paolo Benvenuti Gostanza da Libbiano, in cui la strega è la bravissima Lucia Poli; e quello che racconta un fatto di sangue molto più vicino nel tempo, l’assassinio, nella primavera del 1947, della bella contadina Elvira Orlandini, avvenuto in una località del Pisano. Un delitto feroce rimasto impunito, dopo che il processo intentato all’unico accusato, Ugo Ancillotti, contadino anche lui e fidanzato di Elvira, mandò assolto il giovane per insufficienza di prove.
Anche qui ci fu una dolorosa via crucis da superare. Accuse, sospetti, fantasmi di vario genere. Ma anche tana solidarietà da parte dei compaesani di Ugo. E un notevole riscontro mediatico. Quello della “bella Elvira” e del suo assassinio fu un caso che per mesi riempì le cronache negli anni agitati del dopoguerra. E, nel pisano, c’è chi la ripete ancora la domanda tormentone: «Ma insomma chi ha ucciso la bella Elvira?». Al punto che Cardellicchio ha trasformato la storia in una piece teatrale che, con la regia di Andrea Giuntini, sarà rappresentata a Peccioli, nell’anfiteatro Fonte Mazzola, il 27 luglio.
Insomma dalla cronaca nera alla scrittura, dalla memoria collettiva, che incamera, rielabora, cuce e ricuce, al teatro nazionalpopolare. Ma quando c’è da navigar nel giallo, Cardellicchio non è tipo che si risparmi. Proprio in questi giorni, infatti, è uscita da Sarnus la sua raccolta di racconti Chi ha rubato la Gioconda? Gialli toscani (pp.240, euro 16, in cui l’autore si cimenta con bravura nelle mille varianti del genere (poliziesco, noir, thriller, giallo storico). Sempre con una tessitura inventiva ricca di umori estrosi e con una scrittura asciutta, eppure capace di suscitare, tener desta e accrescere l’attenzione/tensione a partire dal racconto che dà il titolo al libro e che davvero capita a puntino in un momento in cui della gioconda e dei suoi possibili viaggi (dal Louvre agli Uffizi, nel 2013, per il centenario del ritrovamento d’accordo, ma per quanto tempo? Insomma, andata e ritorno, o andata sola?) si fa un gran parlare. Bene, qui ovviamente si rievoca lo storico furto del capolavoro leonardesco (1911). Ma quel che fu ritrovato poi nel 1913 a Firenze era davvero l’originale? E al louvre c’è l’autentica Monna Lisa? O qualcuno la conserva da decenni in una bella cassetta di sicurezza? Da quante mani è passata? Vigilate, gente, vigilate, perchè – e poteva esser diversamente? – affare e malaffare si intrecciano, e ci sono i mercanti d’arte, i ladri internazionali, i politici,quelli che fanno il doppio e il triplo gioco, e i puri che come sempre le buscano. Anche se poi alla fine...
Data recensione: 19/07/2011
Testata Giornalistica: Secolo d’Italia
Autore: Mario Bernardi Guardi