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I ramai sulla Sala che picchiettavano sulle pentole, le matasse di lana delle botteghe di via Stracceria, il Cinema Eden di via degli Orafi. La guerra: i cittadini sfollati in montagna, le notti dei bombardamenti,

I ramai sulla Sala che picchiettavano sulle pentole, le matasse di lana delle botteghe di via Stracceria, il Cinema Eden di via degli Orafi. La guerra: i cittadini sfollati in montagna, le notti dei bombardamenti, il passaggio del fronte per rincorrere la liberazione. Ricordi di una Pistoia passata, memorie di un’infanzia felice, forse perché inconsapevole delle tragedie della guerra, e di un’adolescenza avvolta nell’entusiasmo per la rinascita dalle macerie dei bombardamenti.
Istantanee della memoria, fotografie scattate con gli occhi e immortalate indelebilmente nei ricordi.
A raccontarle, con gli occhi di chi allora era poco più che una bambina, è Marcella Spinozzi Tarducci che le ha voluto racchiudere in un libro “Sono ancora io. L’epopea di una famiglia toscana”, da consegnare ai posteri, ai suoi nipotini, perché custodiscano e tramandino quel pezzo di storia che è anche loro.
Marcella non è pistoiese, è nata a Orvieto. Lo è la sua famiglia materna, la famiglia Poli, originaria di Le Piastre. A Pistoia, però, Marcella ci ha passato l’infanzia, tutto il periodo della guerra, e anche l’adolescenza, fino a che, nel ’61 non si è sposata e si è trasferita. È forse proprio per questa permanenza intensa che i suoi ricordi sono così nitidi e fermi. Come se la consapevolezza di aver abbandonato un luogo avesse annodato ancora più saldamente quei ricordi, li avesse saldati bene nella mente per non farli fuggire più.
«La mia famiglia è originaria di Pistoia – racconta –. Mio nonno, Modesto Poli, era delle Piastre. Da quel paesino della montagna pistoiese riuscì a tirare su dal nulla una grande industria del carbone. Comprò boschi in tutta Italia, in Sardegna, al Sud, sulla Sila, in Umbria e poi iniziò anche ad estrarlo; nel tempo fece una grande fortuna. Modesto Poli ebbe quattro figli maschi e una femmina, Ilia, mia mamma».
Marcella Spinozzi Tarducci è nata a Orvieto, ma allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, quando aveva pochi anni, si trasferisce con la famiglia a Pistoia.
«La guerra me la ricordo bene – racconta –. Mi ricordo l’allarme che veniva dato per avvertire dei bombardamenti e le corse per andare nei rifugi. Io e mia sorella non ci rendevamo conto di quello che significava. Eravamo piccole e ci sembrava un gioco. Mi ricordo però mia mamma che gridava, che ci teneva strette, e io non capivo perché si comportasse così. A quei tempi abitavamo a Capostrada e mi ricordo le colonne dei camion militari: prima dei tedeschi, poi degli americani. A me sembravano tutti uguali: ci davano la minestra calda, oppure la cioccolata e i chewingum. Poi andammo sfollati sulle montagne vicino a Cireglio. Qualcuno, una notte, ci disse che il fronte si era avvicinato e che passava a pochi chilometri da noi. Così gli adulti decisero di tentare di oltrepassarlo camminando tra le montagne. Parlavano della Valdinievole, di Monsummano. La traversata durò un giorno e una notte di cammino. Ad accompagnarci tra i sentieri in mezzo al bosco c’era una “pastora” del posto, una donna grossa ed energica che conosceva la montagna come le sue tasche. La notte ci dovemmo fermare perché ci colse un violento acquazzone. Rimanemmo per ore in una capanna in mezzo al bosco in attesa che l’acqua scemasse. Sentivamo il rumore delle retrovie che sparavano proprio vicino a noi ed erano visibili i crateri delle esplosioni sui lati delle montagne. Quelle immagini, però, non si accompagnano in me a sentimenti di paura: ero troppo piccola per capire cosa stava accadendo. La mattina arrivammo a Serravalle, oltre il fronte: davanti a noi si aprì un altro mondo».
Dopo la guerra la famiglia di Marcella Spinozzi tornò a vivere a Pistoia, poi per pochi anni a Pisa, e infine, dopo la morte del padre, di nuovo a Pistoia, nei pressi della chiesa di San Giovanni Fuorcivitas.
«Con la fine della guerra il mondo si trasformò. Ci fu un’invasione, pacifica, ma fulminea: quella degli Usa e delle loro abitudini. La musica, prima di tutto, invase la vita dei giovani e delle famiglie. Noi bambini, eravamo nati nella guerra e non conoscevamo tante cose. Non avevamo mai visto le saponette, gli abiti di un certo tipo; per noi era tutto una scoperta nuova. Mio padre morì intorno al ’48 quando la mia famiglia abitava a Pisa. Mia madre, trovandosi da sola con due figlie poco più che bambine, decise di tornare a Pistoia, vicino ai suoi parenti. Andammo a stare in centro. Abitavamo dietro la chiesa di San Giovanni Fuorcivitas e accanto a noi c’erano degli artigiani che lavoravano in casa la pelle: battevano di continuo sui loro tavoli da lavoro per stenderla. Mi ricordo anche il frastuono del mercato della Sala. C’erano i lavoratori del rame che, seduti su uno sgabello di legno dentro le loro botteghe buie, picchiettavano tutta la notte sulle loro pentole per modellarle e venderle poi, la mattina dopo, quando avrebbero riaperto i bandoni delle botteghe. Avevano dei martellini piccoli con cui realizzavano le sfaccettature tipiche del rame battuto. Poi c’erano i fruttivendoli che urlavano pubblicizzando i loro prodotti, e anche, nella piazzetta accanto, i pescivendoli che lavoravano attorniati da un nugolo di vespe che ronzavano di continuo intorno ai loro banchi. Come dimenticare, poi, via Stracceria e le sue botteghe piene di matasse di lana e di trecce di cotone, via degli Orafi, dove con la mamma andavamo a comprare i regalini per le occasioni speciali, nei negozi di oreficeria. Sempre in via degli Orafi, poi, c’era il Cinema Eden (la galleria Vittorio Emanuele, ndr) dove andavamo la domenica a guardare i film: a quei tempi al cinema si poteva fumare e allora si creava una densa coltre di fumo che andava via solo quando veniva aperto, come una grande finestra, il soffitto della sala. Nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, inoltre, il parroco don Mario Rossi, si era inventato un altro cinema: aveva creato una sala dove proiettava i film per le famiglie».
Quel cinema adesso esiste ancora ed è il Verdi. Accanto, lo storico bar Valiani, adesso è chiuso: «È un peccato che non riapra: è un locale storico. Me lo ricordo bene – afferma Marcella Spinozzi –. Pistoia, infondo, non è cambiata tanto, anche se ovviamente i negozi, le botteghe sono tutte cambiate. Piazza del Duomo è ancora quella di sempre. Bellissima».
Nella chiesa di san Giovanni Fuorcivitas, Marcella ha sposato il suo attuale marito, Girolamo Tarducci: «Era il 1961 – racconta –: il 15 novembre celebreremo i 50 anni di matrimonio!».
Dopo essersi sposata, Marcella ha lasciato Pistoia e ha sempre vissuto a Firenze. Ha due figli, Federica e Alessandro e due nipotini, Carolina e Jacopo. Ha insegnato lingua e letteratura inglese nelle scuole superiori fino al 1984.
«Non avevo mai scritto prima d’ora – racconta Marcella –. O meglio, ho sempre scritto ma per conto mio, ma senza far vedere a nessuno quel che facevo. Poi, quando è nata la mia nipotina Carolina, ho regalato a mia nuora una poesia. In segreto lei l’ha iscritta ad alcuni concorsi a cui sono arrivata prima. Così ho deciso di buttare giù le mie memorie (“Sono ancora io”, ed. Sarnus, Diari e Memorie, ndr) dedicate ai miei nipotini: quando saranno grandi, io non ci sarò più, ma con questo libro, almeno, conosceranno un pezzo della mia storia».
Data recensione: 30/10/2011
Testata Giornalistica: Il Tirreno
Autore: Marta Quilici