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Che il protagonista di uno dei più tristi episodi della cronaca giudiziaria ed ecclesiastica fiorentina d’inizio millennio non

Che il protagonista di uno dei più tristi episodi della cronaca giudiziaria ed ecclesiastica fiorentina d’inizio millennio non perda l’occasione per proclamare la sua devozione nei confronti di don Danilo Cubattoli è un fatto che dispiace, a un lustro dalla scomparsa di uno dei sacerdoti più amati.
Classe 1922, nato nel cuore del Chianti Fiorentino e ordinato sacerdote in Duomo a 26 anni dal cardinale Elia dalla Costa, che ne intuì subito la vocazione pastorale, fu accompagnato o, a seconda dei punti di vista, perseguitato dal soprannome di don Cuba.
Fin dagli anni in cui frequentava il seminario del Cestello, in compagnia di personalità come don Lorenzo Milani e Silvano Piovanelli, don Cubattoli ha rappresentato per tutta la vita un singolare e profetico esempio di missionario: un missionario che espleta la sua attività all’interno e non all’esterno di un mondo cattolico bisognoso di essere ricristrianizzato.
Invece che l’Africa nera o la Cina, scelse come fulcro della propria attività il popoloso e popolare quartiere fiorentino di San Frediano; in luogo della giungla e della savana, le carceri delle Murate e poi di Sollicciano, in cui entrò come volontario per divenire il decano dei cappellani italiani. Fu il primo prete a celebrare messa dietro le sbarre, come ha ricordato Maurizio Naldini nella sua affascinante biografia «Vorrei mettervi le ali» (Sarnus). Fu amico di don Bensi e di Bruno Borghi, ma fu profondamente influenzato dal magistero di un santo laico, quel Giorgio La Pira della cui «messa di san Procolo», attiva fin dagli anni Trenta, fece rivivere lo spirito nell’Associazione Obiettivo Giovani di San Procolo, fondata con personalità di spicco del cattolicesimo sociale fiorentino, come Fioretta Mazzei, Ghita Vogel, Ulisse e Marigù Pelleri. Il cinema, che nell’immaginario collettivo di chi aveva vent’anni nell’immediato dopoguerra occupava un posto più importante di quello che non ne occupi oggi la televisione e forse internet, non lo lasciò indifferente; anzi ne scorse subito le potenzialità per il recupero dei carcerati. All’interno dell’allora potentissima Acec, l’Associazione cattolica esercenti di cinema, collaborò con registi come Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Franco Zeffirelli, Marco Bellocchio, Ermanno Olmi e tanti altri, fra cui Monicelli. Ma per accostarsi allo spirito dei tempi e alla sensibilità dei giovani non disdegnò la pratica sportiva. Fu subacqueo, alpinista, ciclista; quando riuscì a dotarsi di una motocicletta attraversò a due ruote la Grecia, il Vicino Oriente, l’Africa, fino a celebrare la Messa sulle nevi del Chilimangiaro. Ma la sua maggiore soddisfazione la colse come ciclista, l’11 maggio 1952, quando accettò la sfida di un gruppo di giovani comunisti in una gara ciclistica da Firenze e San Casciano. Il «Cuba» (soprannome non ancora legato alla rivoluzione castrista) vinse e la «Domanica del Corriere» gli dedicòuna delle sue copertine illustrate. Ma più di essa, lo rallegrò la strofa dedicatagli per l’occasione da un poeta popolare in una Firenze che ancora non aveva perso il gusto di verseggiare all’impronta: «Anno cinquantadue, mese di maggio, / un gruppo di ragazzi di San Frediano / montano in bicicletta e con coraggio / sfidano il Cuba fino a San Casciano... / Filava il Cuba che pareva il vento, / quel vento che rinfresca a primavera / Gaslluzzo, Tavernuzze... e in un momento / in fondo al gruppo: una tonaca nera...». La sua fama è stata rinverdita nel corso degli ultimi anni in tanti libri di memorie, in tanti saggi, in tanti romanzi.
Data recensione: 20/12/2011
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Enrico Nistri