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Lo chiamavano San Pechino per l’invasione dei cinesi. Una fetta d’Oriente alle porte di Firenze. Su questo fenomeno che ha caratterizzato San Donnino, ed in particolare

Lo chiamavano San Pechino per l’invasione dei cinesi. Una fetta d’Oriente alle porte di Firenze. Su questo fenomeno che ha caratterizzato San Donnino, ed in particolare sulla figura di don Giovanni Momigli, il giornalista Luigi Ceccherini (L’Avvenire, La Nazione) ha pubblicato il libro, “La “rivoluzione” di don Momigli” edito da Sarnus con la prefazione di Valdo Spini, che all’epoca era sottosegretario agli Interni. «Una riflessione - spiega Ceccherini - sull’esperienza della Chiesa fiorentina davanti all’arrivo di tremila cinesi in un paesino San Donnino (alla periferia di Firenze) che contava 4.500 anime. Quindi un libro sull’immigrazione e sull’integrazione, per una volta, una delle poche, a lieto fine». «Era il 1991 - ricorda il giornalista - e sarebbe stato come se tre milioni di cinesi fossero arrivati in pochi mesi a Roma. Una situazione esplosiva come si vede dalla copertina del libro dove c’è un’auto dentro il porticato di una chiesa, messa lì per bloccarne il portone e che si temette fosse piena di esplosivo. La Chiesa, di fronte all’indolenza del potere politico, subentrò al suo posto nel gestire la situazione che aveva già creato problemi di ordine pubblico: risse, cortei, scontri. I cinesi erano accusati di rubare il lavoro e di fare il proprio comodo lavorando anche di notte. In duemila invocarono l’aiuto (con delle cartoline) del Capo dello Stato Scalfaro, in 800 chiesero di diventare cittadini cinesi all’ambasciata di Roma, perché si ritenevano più tutelati. Il 25 aprile lo trasformarono nel giorno della liberazione dai cinesi e il 1 maggio nella festa del lavoro di cui riappropriarsi. Il parroco nuovo (don Momigli) inviato dal cardinale Piovanelli riuscì nell’impresa di riportare la calma, anche con l’aiuto delle suore (che andavano nei capannoni come una volta nelle corsie degli ospedali) e di tante persone di buona volontà». « Di quelle vicende - continua Ceccherini - se ne occuparono Montanelli, il Costanzo show, Roma 3131, la Bbc la Cctv (la Rai cinese). Oggi in quel paese gli abitanti sono 6.500 è gli italiani di origine cinese neanche un migliaio. Alcuni di loro hanno aziende importanti i che danno lavoro a tanti italiani. L’integrazione lì è riuscita. Così non è successo a Prato. Il parroco aiutò la nascita del Consolato generale cinese a Firenze e anzi ne ospitò in canonica le prime iniziative. Oggi don Momigli è considerato dalla comunità cinese fiorentina un po’ come il loro avvocato, il loro sindacalista. Una persona di cui fidarsi. Insomma una bella esperienza, sia nell’accoglienza (piccoli numeri), sia nell’integrazione (offerta di servizi pratici di aiuto). I buoni rapporti con il Consolato ne hanno fatto un banco di buona collaborazione fra la Chiesa e il governo di Pechino da segnalare. Da tutte queste vicende poi è nato Spazio Reale (un laboratorio interreligioso grande quanto un centro commerciale) e un museo di arte sacra con i capolavori del Ghirlandaio».
Data recensione: 19/01/2017
Testata Giornalistica: Il Tirreno
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