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«Siamo di coloro che chiamano briganti, questo è nostro vanto e altrui salvezza: dei soprusi siamo nemici

Il libro. Un po’ romanzo,un po’ graphic novel, la nuova impresa di Maurizio Guidi ci porta in Lucchesia. Siamo nella prima metà del Cinquecento tra amori e scorribande fuorilegge. E un colpo di scena

«Siamo di coloro che chiamano briganti, questo è nostro vanto e altrui salvezza: dei soprusi siamo nemici e se c’è onore e rispetto, ci piace di più far ponti dove sono confini». A pronunciare queste parole, che sono un vero programma è Miglietto, un fuorilegge realmente esistito, citato da Marino Berengo nel suo libro dedicato alla storia di Lucca, che operava tra i monti vicino Pescaglia, a Convalle, tra le montagne della lucchesia e la Versilia, nella prima metà del Cinquecento. A riportare alla luce le imprese sue e dei suoi compagni, tra storia e leggenda è Maurizio Guidi, artista, scrittore, cultore di tradizioni popolari. Miglietto, brigante da bosco e da riviera edito da Polistampa, è un romanzo agile, divertente, ricco di riferimenti simbolici e di un linguaggio talvolta dialettale che ne rende più sapida la lettura. Ma non è tutto, l’originalità di questo libro sta nel fatto che a un certo punto la trama prosegue con una graphic novel che accompagna il lettore fino all’epilogo dell’avventura. Il tratto elegante dei disegni esce dalla mano dello stesso Giudi, che con il disegno dimostra di possedere notevole familiarità. Come in tutti i romanzi che si rispettino, è presente la voce narrante, in questo caso un anziano e saggio contadino, Lidamo, che custodisce la memoria popolare, un cantastorie, il quale, in una piccola trattoria di Trebbio, paesino vicino a Pescaglia, negli anni Sessanta del secolo scorso, prende a raccontare le imprese del fuorilegge cortese che tanto successo aveva ottenuto in quelle terre di confine quasi quattro secoli prima, costellate da borghi di montagna a cavallo tra la lucchesia e la Versilia. I personaggi che ruotano intorno all’ intreccio sono da romanzo popolare. Oriano, uno scultore che aveva servito presso una nobile famiglia fiorentina, Carlino, giovane compagno di Miglietto, protagonista dell’avventura che attraversa il romanzo, risoltasi poi nel migliore dei modi, Elvira, sua cugina, innamorata del fuorilegge, don Finuccio, che celebrerà clandestinamente il matrimonio tra i due; e poi i suoi compagni: Daniè, Giò, il Piè, che paiono usciti dalla penna di Walter Scott. Sullo sfondo le lotte di confie talvolta sostavano per mettere ordine e portare giustizia, Miglietto e i suoi godevano invece di grande reputazione. Il romanzo si apre con i fuorilegge in fuga inseguiti dalle guardie della Repubblica di Lucca, poiché, con le loro scorribande, rendevano ancora più complicati i già difficili rapporti tra la città dell’arborato cerchio e Firenze. Uno dei loro nascondigli era l’Alpe di Convalle, sovrastata dalle Alpi Apuane, lì gli abitanti si facevano in quattro per dare ristoro a Miglietto e alla sua banda. L’altro rifugio sicuro si trovava a Massaciuccoli, luogo divenuto celebre nei secoli successivi grazie a Giacomo Puccini, nei capanni che si affacciano sull’omonimo lago, anche questo luogo di confine, la banda di Miglietto aveva una sua base operativa. L’antico porto di Motrone in quella che oggi è la marina di Pietrasanta, era nel Cinquecento uno scalo di grande importanza: partivano e arrivavano il marmo, il legname, ma anche le spezie, le granaglie, il vino. Da Motrone partiva la via del sale che raggiungeva Camaiore e la lucchesia. Era uno dei percorsi della brigata di Miglietto nei suoi spostamenti, senza dimenticare che quella strada, da Motrone a Pietrasanta fino a Seravezza, la via Marina, era stata realizzata a cura dell’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze per permettere un più agevole percorso dei carri carichi di marmo che dovevano raggiungere Firenze dove Michelangelo stava vergando i suoi capolavori. Già Michelangelo. Maurizio Guidi non si lascia sfuggire l’occasione per sottolineare come il celeberrimo scultore si fermasse a mangiare in una vecchia locanda della zona; pare che apprezzasse molto un ricco piatto di tordelli! Il romanzo si chiude con un colpo di scena che non intendiamo svelare e che ha per protagonisti il vecchio Lidamo e il rettore della chiesa di Convalle, don Clarini, entrambi alla ricerca delle tracce di Miglietto e della sua sposa, che si perdono in un passato avvolto dalla nebbia. Quella nebbia che avvolge il passo del Lucese che da Convalle riporta Lidamo, il poeta contadino, al di là della montagna, verso il mare. «Potrebbe chiudere gli occhi e risvegliarsi nel Cinquecento: quel paesaggio sarebbe lo stesso», tanto familiare a Miglietto e ai suoi compagni!
Data recensione: 13/12/2020
Testata Giornalistica: Corriere fiorentino
Autore: Alessandro Bedini