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Ci sembra che questo libro sfugga alle solite classificazioni perché, come sembra suggerire l’A. fin dal sottotitolo

Ci sembra che questo libro sfugga alle solite classificazioni perché, come sembra suggerire l’A. fin dal sottotitolo, si è voluto presentare un racconto “insolito” dove il Casentino è quasi un “pretesto” per addentrarsi nei meandri delle più varie vicende umane e, si parva licet componere magnis, quasi una sorta di weltanschauung dove, pagina dopo pagina, la “passeggiata” assume l’aspetto di una riflessione personale sulla vita e sulla storia. Ci pare doveroso premettere questo aspetto metodologico, tuttavia deve essere chiaro che nel libro il protagonista è l’intero Casentino, la prima valle dell’Arno, e di Casentino e di casentinesi si parla rivelando sull’argomento una conoscenza profonda e certamente non comune.
Strutturato in 37 capitoli, a loro volta suddivisi in paragrafi, il corposo volume ci accompagna dalle antiche epoche (anche anteriori al “Lago degli idoli”) fino ai tempi moderni con lunghe descrizioni dei secoli del Medioevo, che forse oggi tendiamo ad idealizzare ma che certamente non furono molto felici per chi li visse in una generale sensazione di precarietà della propria esistenza.
Oltre alla descrizione degli elementi più notevoli dei vari comuni (Stia, Pratovecchio, Castel S. Niccolò, Montemignaio, Poppi, Bibbiena, Chiusi della Verna, Rassina / Castel Focognano, Talla, Chitignano, Ortignano Raggiolo) troviamo ovviamente i classici e immancabili castelli (Poppi, Porciano, Romena, Poppi, Castel San Niccolò, Montemignaio, Serravalle...) e le pievi romaniche (Stia, Romena, Strada, Montemignaio, Socana, Badia Prataglia ...) oltre ai grandi complessi religiosi di Camaldoli e La Verna (con la giunta, un po’ ai limiti geografici, di Vallombrosa), ma soprattutto c’è tanto Casentino “minore”: borghi e casali, i numerosi oratòri e le tante opere d’arte, i campanilismi e le leggende, gli antichi mestieri e la difficoltà di combinare pranzo e cena, l’arte della lana e le regole di caccia, la presenza sempre più invadente della Dominante fiorentina (con i “foderi” del legname che sfruttavano la corrente dell’Arno), le tradizioni religiose e le “voci” di miracoli, le feste e i mercati, le curiose leggende e numerosi altri fatti e fattacci raccontati nella vallata fino alle tante ricette di cucina con il poco che si aveva (fulminante: “A far la barba si sta bene un giorno, a prender moglie si sta bene un mese, ad ammazzare un maiale si sta bene un anno”).
Ci sarebbe poi da parlare dei personaggi che in Casentino sono nati o vi hanno soggiornato ma l’elenco è troppo lungo. Ci limiteremo a ricordare – oltre all’onnipresente Dante, la sua Campaldino e i castelli dell’esilio – i conti Guidi, san Francesco e san Romualdo, Guido Monaco, la famiglia dei Landini, Paolo Uccello, Mino da Fiesole, il Bibbiena, Bernardo Tanucci, Carlo Beni. Naturalmente anche Annibale passò da queste parti... Insomma, c’è tutto il Casentino e il genius loci della vallata.
Ma lo sguardo va anche ben oltre la prima valle dell’Arno. Ne prendiamo esempio dalle pagine dedicate qua e là ai modi di dire. Numerosi sono infatti i proverbi e altre locuzioni di cui si spiega l’origine con risultati (quasi) sempre convincenti. Ne citiamo alcuni: nascere con la camicia, dare un colpo al cerchio e uno alla botte, lavorare a uscio e bottega, mangiare a ufo, mogli e buoi dei paesi tuoi, prendere due piccioni con una fava, l’abito (non) fa il monaco, senza lilleri ‘un si lallera, san Giovanni ‘un vole inganni, acqua in bocca, ecc. ecc. Ma questi non sono evidentemente solo casentinesi... Del resto anche le riflessioni sulla massoneria, sulla datazione del Natale, sul “dolce stil nuovo”, e altre ancora, se da un lato mostrano la vasta preparazione culturale dell’A., dall’altro si potrebbero considerare (quasi) “fuori tema”, come ci diceva a suo tempo la prof di liceo...
Affermato comunque lo spessore scientifico del libro e lo stile agile ed efficace, ci sia permesso di evidenziare alcune veniali inesattezze (forse) da tenere presenti per una eventuale riedizione. Mino da Fiesole fu originario di Papiano di Stia (secondo le ricerche di P. L. Della Bordella, 1984) e non di Poppi (pp. 10, 276); Domenichetti anziché Dominichini (p. 72); Borgo alla Collina anziché “poggio” (p. 78); Maldolo anziché Mandolo in più punti; il latino tempore invece di tempora (p. 195). Si potrebbe ancora obiettare che le vicende del piovano Arlotto sono in altri testi ubicate intorno a Pontassieve o comunque nel fiorentino; la nota terzina dantesca che inizia con “Li ruscelletti che d’i verdi colli ...” (Inf. XXX, 64-66) appare citata in breve spazio per ben quattro volte; assolutamente fuori luogo ci pare anche la duplice citazione del televisivo Marzullo (pp. 82, 127). Altri refusi possono essere intravisti passim durante la lettura di queste pagine peraltro ricchissime di notizie sulla vallata.
Infine – e speriamo che altri condividano il nostro suggerimento – consigliamo di eliminare quella finta cornice intagliata che è stata incollata intorno a tutte le immagini in b/n e che le rende certamente meno realistiche e leggibili. Proprio non ce n’era bisogno...
Data recensione: 25/12/2021
Testata Giornalistica: Corrispondenza
Autore: Silvano Sassolini