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Si è sedimentata nei secoli (e anzi, nei millenni) come espressione–tipo della paura più grande, essere invasi

Si è sedimentata nei secoli (e anzi, nei millenni) come espressione–tipo della paura più grande, essere invasi, saccheggiati,e magari ammazzati, da “li Turchi”, Mori,o Saraceni che dir si voglia – popoli d’Oriente che nelle diverse epoche arrivavano dal mare, tanti e diversi (arabi e turchi, berberi e maghrebini), tutti, comunque, “infedeli” maomettani, nemici per antonomasia dell’Europa cristiana. Oltre che di oltraggio ai corpi e ai beni materiali, quello dei “turchi” appariva, alla coscienza via via plasmata dal magistero della Chiesa, come il sovvertimento di un intero ordine sociale, culturale, religioso,e insomma una minaccia radicale non solo a individui e comunità, ma a un mondo. Niente di strano, perciò, data la sua fortuna, che di fronte alle ondate migratorie oggi in arrivo (come ieri) da Sud e da Oriente, il grido d’allarme “mamma, li turchi!” sia tornato, in un certo senso, in auge (sia pure con qualche modifica lessicale, ma non di sostanza, tipo: “Aiuto, l’Europa rischia la sostituzione etnica!”), ripreso dalle destre xenofobe di tutto il continente. La radicale differenza rispetto al passato, però, è che mentre oggi a morire in massa (e ben prima di “invadere”) sono i presunti “invasori”, per secoli e secoli la popolazioni rivierasche italiane (e non solo) hanno avuto decisamente di che impaurirsi. Ne fanno fede, oltre alle ricerche storiche, le tante storie e leggende sui “turchi” – «legate a vicende storiche reali, più o meno rielaborate dalla fantasia popolare» – arrivate fino a noi dai quattro angoli dell’Europa nonché dell’Italia, di cui offre un assaggio Franco Ciarleglio nel suo Mamma li turchi! Novelle, racconti e leggende medievali d’incursioni saracene nelle coste della Toscana, e dell’Italia del Nord e del Sud (ed. Sarnus), in gran parte dedicato a quelle tramandate nelle località toscane. A cominciare dalla Maremma, dove ancora si rievoca – anche grazie i resti di una antica torre di avvistamento sui monti dell’Uccellina, che porta il suo nome – la triste vicenda della Bella Marsilia, la giovane che in cambio della vita dei compaesani fatti prigionieri si offrì volontariamente ai corsari dell’ottomano Khayr al din (detto Ariadeno Barbarossa, vissuto fra XV e XVI secolo), sbarcati di notte a Cala Forno. Si prosegue con la leggenda di Kinzika, indimenticata eroina di Pisa (alla cui storia sono tuttora dedicati un corteo storico, e una statua in via San Martino), che, avvistati i saccheggi delle truppe del terribile sultano Mujalhid, avvertì per tempo i Consoli, fece allertare i pisani col suono delle campane,e salvò la città. E ancora una donna è protagonista della storia che dà il nome alla spiaggia delldell’Innamorata (allora Cala de lo fèro, per la sua vicinanza alle miniere di ferro),all’Isola d’Elba, luogo di incontro dei due innamorati Maria e Lorenzo – dove Lorenzo, mentre di notte attende l’amata, è sorpreso dai corsari del solito Barbarossa, che lo trascinano su una scialuppa, lo uccidono e lo gettano in mare. Proprio sotto gli occhi di Maria, diretta in spiaggia – e che correndo, disperata,per gettarsi a sua volta fra le onde,e unirsi così per sempre all’amato, perde il suo scialle bianco su uno scoglio, tuttora chiamato Ciarpa, e meta, da secoli, di un corteo storico notturno. Di una battaglia contro i saraceni, vinta da Ildebrandino degli Aldobrandeschi, c’è è ricordo a Suvereto, mentre a Campiglia si racconta della bella Ubertenga, uccisa col padre dai pirati su un prato dove cominciarono a crescere bellissime orchidee spontanee, per le quali il paese è ancora oggi famoso; e a Populonia di un branco di cani randagi che, come le oche del Campidoglio, mise in fuga gli invasori abbaiando e allertando le guardie,e poi sbranandoli. E “Mamma li turchi!”, ricorda Ciarleglio, risuonò spesso all’Isola del Giglio, dove le incursioni furono la regola, anche se la più nota (siamo già nel 1799), fu di tunisini. Respinti alla fine di un duro assedio per intercessione,si disse, del patrono San Mamiliano, da allora detto “dei Turchi” che fece apparire sulle mura del castello una moltitudine (virtuale) di soldati, mettendo in fuga il nemico.
Data recensione: 17/08/2023
Testata Giornalistica: La Repubblica
Autore: Maria Cristina Carratù