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Il “lato B” femminile – oggetto di polemiche nell’ultimo concorso di miss Italia – ha il suo ruolo ( e come non potrebbe?) anche tra leggende, superstizioni, credenze popolari. Tutto nasce da un vecchio detto che va per le

Fate come perfette colf, instancabili lavoratrici nel lavare, tessere la tela, infornare il pane e organizzare balliIl “lato B” femminile – oggetto di polemiche nell’ultimo concorso di miss Italia – ha il suo ruolo (e come non potrebbe?) anche tra leggende, superstizioni, credenze popolari. Tutto nasce da un vecchio detto che va per le spicce:«Sedere mestolato, entro l’anno accasato». Non occorre essere la Monica Bellucci di “Malena”: si dice che le ragazze piacenti del Valdarno siano destinate a trovare rapidamente marito se, alla fiera del paese, ricevono sul fondo schiena colpi di mestolo sferrati da scanzonati giovanotti. È la storia che introduce Toscana magica l’ultimo libro di Giorgio Batini che ha 86 anni forse non sa neppure lui quanti ne ha scritti con la sua inesauribile penna (anzi con i tasti dell’ Olivetti dato che del computer non ne vuole sapere). Stavolta è un viaggio tra miti, leggende, prodigi «che resistono al tempo» in una Toscana sempliciotta disposta a credere alle fatture e al malocchio e spaventata dalle Buche delle fate (sempre meglio, dice Batini, del «buco dell’ozono»). Insomma l’ultima frontiera fantastica in pieno Duemila. Batini veste i panni del cronista dell’impossibile e attraverso borgate, selve e ruscelli raccoglie decine di testimonianze, dove si parla di «fonti lattaie», di «paure», polle miracolose, streghe e fattucchiere. È un viaggi attraverso la regione, dal fiume Serchio che si dice popolato dalle fate alla Buca di Cavriglia (idem). Il bello è che questi racconti sono accompagnati da documentazione fotografica, immagini che sembrano uscire da un fiabesco immaginario e invece sono reali come le famose «marmitte dei giganti», che un geologo liquiderebbe come semplice fenomeno erosivo, sul monte Sumbra delle Apuane, dove la leggenda narra che le fate facessero il bucato. Fate come perfette colf, instancabili lavoratrici nel lavare, tessere la tela, infornare il pane, ma anche disponibili, nel tempo libero, a organizzare feste e balli campestri. Dove un giorno furono sorprese da un boscaiolo di Aulla (che poi scomparve senza neppure finire su “Chi l’ha visto?”): giovani, bionde, vestite di tuniche bianche, a piedi nudi. Anni fa uno speleologo del CAI, Enzo Eredi, riuscì a mettere insieme un elenco di una sessantina di grotte che la tradizione popolare considerava abitazioni delle magiche donne. Che a volte non disdegnavano incontri del terzo tipo con gli umani vuoi che fossero casalinghe in vena di apprendere i segreti delle faccende domestiche, vuoi che fossero giovanotti in cerca di avventure. Di certo la fantasia, una volta sbrigliata, non ha confini. Il libro edito da Polistampa (205 pagine, euro 14) «ci conduce alla scoperta di una Toscana magica dove qualcuno indossa ancora una collana di capi d’aglio contro il malocchio e le ragazze stanno attente a non spazzarsi i piedi per paura di non trovar marito». È una Toscana incantata: il Diavolo costruisce ponti nottetempo, laghi nascono, sempre di notte, per magia, arcigne facce di pietra tengono il male lontano dalle case, ci sono fonti termali che si dice siano state scoperte dal merlo della contessa Matilde o create a forza di fendenti dalla Durlindana di Orlando. Miti e prodigi, nelle pagine di Batini, che un giorno spariranno anche dalla memoria ma che a volte, oggi, hanno ancora un legame con la realtà. E qui si entra nel campo della cronaca con qualche personaggio che finisce fotografato sulle pagine dei quotidiani locali. Gli amici dell’acqua, i rabdomanti. Come Anna Maria Innocenti, una signora di Marradi, che scoprì per caso di «sentire l’acqua». Nella sua casa di campagna, sotto gli occhio scettici del marito, professore di matematica, quindi di cultura assolutamente scientifica, furono chiamati tre rabdomanti per cercare un punto dove scavare un pozzo. Di fronte a ripetuti, inutili tentativi, la signora chiese di provare lei, impugnò due bacchette e trovò il punto giusto. Da allora la chiamano «la fata dell’acqua» e da tutta la Toscana si rivolgono a lei per «battere un pozzo». Lei non chiede una lira di compenso. Vorrebbe andare in Africa, per aiutare le popolazioni che soffrono la sete. E questo sarebbe davvero un prodigio autentico.
Data recensione: 15/01/2008
Testata Giornalistica: Metropoli
Autore: Sergio Di Battista